Cop 23: il clima è sempre troppo caldo - di Simona Fabiani

 

Il 17 novembre scorso si è conclusa la ventitreesima Conferenza Onu sul clima. Anche questa occasione non ha colto l’urgenza con cui occorre affrontare la sfida del cambiamento climatico. A distanza di due anni dall’Accordo di Parigi, con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2 gradi per mantenerla entro 1,5 gradi, gli impegni assunti sono ancora insufficienti (siamo in direzione di un aumento oltre i 3 gradi).

Non è più tempo per le parole, è tempo di agire. Non ci si può limitare agli impegni assunti a livello internazionale, assolutamente inadeguati secondo la scienza. Il livello di ambizione deve essere innalzato rivedendo gli impegni volontari (Ndc) per metterli in linea con l’obiettivo. La trasformazione del modello di sviluppo deve essere agita con determinazione. I paesi più ricchi, che hanno causato il cambiamento climatico, devono agire per primi e assumersi la responsabilità di sostenere i paesi più poveri e vulnerabili, più colpiti dall’impatto devastante del cambiamento climatico, con trasferimenti di tecnologie e adeguati mezzi finanziari.

Per quanto riguarda l’Italia, il ministro Galletti è intervenuto per dichiarare che dall’Accordo di Parigi non si torna indietro, per dire che l’Italia è già in linea con gli obiettivi europei clima-energia al 2020, e per riportare gli impegni della strategia energetica nazionale (Sen) di chiusura di tutte le centrali a carbone entro il 2025, e del 55% di produzione elettrica da fonti rinnovabili.

Secondo noi, dall’Accordo di Parigi non solo non si deve tornare indietro, ma, a meno di condividere le teorie negazioniste di Trump, l’accordo deve essere incrementato. L’obiettivo della chiusura delle centrali a carbone entro il 2025 è una cosa positiva, soprattutto in termini di salute. Però, per poter essere veramente sostenibile, occorre adottare un piano per la giusta transizione, sostenuto da adeguati mezzi finanziari, che attraverso il dialogo sociale garantisca nuovi posti di lavoro, diritti dei lavoratori e delle comunità.

In riferimento agli obiettivi della Sen, il ministro ha preferito citare il 55% di produzione di elettricità da fonti rinnovabili al 2030, piuttosto che il 28% di energie rinnovabili sui consumi complessivi al 2030. Questa percentuale è solo di un punto più alta del 27% fissato dagli obiettivi clima-energia al 2030 dell’Ue. Gli altri due obiettivi europei sono 27% di efficienza energetica, e 40% di riduzione delle emissioni al 2030. Alcuni studi mettono in dubbio che con il 27% di rinnovabili e il 27% di efficienza energetica si possa avere una riduzione del 40% delle emissioni. Ma sopratutto questi impegni europei sono volontari, in relazione all’Accordo di Parigi, e già ritenuti insufficienti per l’obiettivo di 1,5 gradi.

Alla luce di questi fatti, la Conferenza del prossimo anno - in Polonia a Katowice, città con una storia legata al carbone - sarà una scadenza cruciale per il mantenimento delle promesse sulla giusta transizione, contenute nell’Accordo di Parigi, per riconoscere e rispondere alle preoccupazioni per il futuro di milioni di lavoratori e delle loro comunità. Per questo l’Ituc ha chiesto un “piano d’azione di Katowice per la giusta transizione”.

In attesa della prossima Conferenza dobbiamo lavorare all’interno del movimento climatico per favorire la reciproca comprensione fra le legittime preoccupazioni di sindacati e lavoratori coinvolti nei processi di trasformazione, e quelle altrettanto legittime delle popolazioni colpite dal cambiamento climatico. Solo un movimento unito può vincere la difficile sfida climatica.

La giusta transizione è senz’altro un imperativo per il movimento sindacale per le sue implicazioni occupazionali. Ma è anche una questione di potere e di democrazia, di accesso all’energia per tutti, di giustizia sociale, di diritti umani, di equità di genere, di difesa dei diritti delle popolazioni indigene. Non riguarda solo la transizione energetica e la decarbonizzazione dell’economia: è una profonda trasformazione di sistema che deve vedere coinvolti tutti i settori della società civile.

Dovrà affrontare anche il tema della proprietà pubblica dell’energia e delle reti, o comunque di un controllo sociale e democratico. Va portata avanti allargando le alleanze, promuovendo la partecipazione delle comunità e dei popoli indigeni, e contrastando nuove forme di colonialismo dei paesi sviluppati nel sud del mondo, con grandi progetti di energie rinnovabili ma non sostenibili perché distruttivi per le popolazioni locali, quali grandi infrastrutture idrogeologiche o impianti solari a terra di enormi dimensioni.

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