Bolzaneto, tre giorni di abusi: fu tortura - di Simonetta Crisci

 

La Corte europea dei Diritti dell’uomo ha sancito ancora una volta che i tre giorni di vessazioni e abusi perpetrati dalle forze dell’ordine italiane nella caserma Nino Bixio di Bolzaneto, a Genova, hanno integrato il reato di tortura e non sono stati solo “trattamenti inumani e degradanti”. E’ la seconda sentenza, dopo quella sull’irruzione alla Diaz, sui fatti di Genova del luglio 2001, quando centinaia di migliaia di lavoratori, studenti, donne e cittadini inermi protestarono contro il vertice del G8 e il liberismo da questi propagandato, subendo cariche inaudite da parte delle forze dell’ordine che procurarono la morte del giovane Carlo Giuliani, e infine il sequestro di 300 giovani, uomini e donne, rinchiusi nella caserma che, oggi si può dire, fu luogo di tortura e di “non diritto”.

La sentenza ripercorre la vicenda dei giovani fermati durante le manifestazioni del 21 e 22 luglio del 2001, condotti nella caserma che doveva fungere da centro di identificazione per distribuirli nelle varie carceri vicino Genova. Essi per 48 ore furono oggetto di violenze e soprusi da parte delle forze “dell’ordine”, subendo pestaggi, insulti, imposizioni di carattere vessatorio: obbligati a stare numerose ore in piedi, con le braccia alzate e le gambe divaricate, salvo essere picchiati e manganellati se cedevano e si accasciavano a terra, senza poter andare al bagno se non subendo colpi di manganello passando sotto tunnel di agenti violenti e le donne, infine, dileggiate, chiamate puttane e costrette a subire insulti sessisti.

I giudici della Corte hanno evidenziato che le condotte operate dagli agenti furono totalmente gratuite, non giustificate dai comportamenti delle vittime, in quanto non ci fu alcun tipo di resistenza da parte loro; inoltre il carattere pregnante delle sofferenze fisiche e psichiche inflitte, unitamente all’intenzionalità delle violenze perpetrate, hanno sicuramente configurato il reato di tortura.

Lo Stato italiano, secondo la Corte, non ha provveduto ad assicurare il ristoro delle vittime, non punendo i responsabili degli abusi: ha violato i dettami internazionali del divieto di tortura, e anche la procedura imposta dall’articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell’uomo, che impone di compiere indagini approfondite in tutti i casi sospetti di trattamenti contrari allo stesso articolo, tramite l’individuazione, la persecuzione e la condanna, proporzionata alle violenze, nei confronti dei responsabili. I giudici di Genova, infatti, hanno subito ostacoli nell’individuazione degli agenti, quando furono inviate dalle questure di appartenenza foto di numerosi anni prima, dove tali persone erano irriconoscibili.

Nessuno degli imputati ha mai subito procedimenti disciplinari, né è stato mai sospeso. Anzi, alcuni funzionari che operarono a Bolzaneto furono persino promossi a incarichi più elevati. Infine, non avendo l’Italia ottemperato alla sollecitazione Onu del 1984, con l’introduzione del reato di tortura, gli agenti furono incriminati per reati quali “percosse” “lesioni” e/o “abuso di ufficio”, e questi rientrarono nell’indulto, sancito con legge 241 del 2006, che cancellò le pene inflitte fino a tre anni di condanna. Per non parlare della prescrizione, che non avrebbe operato per il reato di tortura, e che ha annullato numerose condanne.

La condanna dello Stato italiano al risarcimento dei danni morali subiti dai fermati a Bolzaneto ha sancito il divieto di comportamenti violenti e disumani nei confronti di qualsiasi cittadino da parte di chi detiene il potere e abusa della propria posizione di pubblico ufficiale. Per questi motivi la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia a risarcire le vittime con somme da 10mila a 85mila euro ciascuno.

Oggi ricordiamo che l’inadeguatezza del quadro normativo italiano non è stata superata dalla recente legge che ha introdotto il reato di tortura, per le caratteristiche che a questo reato sono state attribuite dalla discussione politica e dal governo, che ha generato una legge assolutamente inefficace, per la mancanza di tutela del cittadino di fronte allo Stato, e agli eventuali danni creati da un uso sproporzionato della forza da parte di funzionari che abusassero del loro potere. Infatti il reato di tortura creato dall’attuale legge è stato identificato come una generica violenza operata da un qualsiasi cittadino, omettendo la caratteristica di preminenza del potere dello Stato sul cittadino; si prevede che tale violenza sia “reiterata”, quindi subita più volte, e soprattutto verificabile con perizie psicologiche, dando a queste una prevalenza per il giudizio di sussistenza del reato.

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