Inquinamento da Pfas in Veneto. Basta con i rimpalli - di Paolo Righetti

 

Nel 2013 l’Istituto superiore di sanità certificava un grave inquinamento da Pfas (sostanze perfluoro-alchiliche) in un vasto territorio compreso tra le province di Vicenza, Padova e Verona, con effetti dannosi sull’ambiente, sulla contaminazione delle acque superficiali, della falda acquifera, dell’acqua potabile e di quella ad uso irriguo, sulla possibile contaminazione degli alimenti e di conseguenza sulla salute dei lavoratori e della popolazione.

Già allora la fonte di inquinamento principale era stata individuata nel sito di insediamento della Miteni spa di Trissino (Vicenza). Un inquinamento causato da sostanze utilizzate nell’attività produttiva degli anni pregressi e non più in uso, ma per il quale, in una recente relazione del Nucleo operativo ambientale (Noe) dei carabinieri, viene comunque attribuita all’azienda una condotta omissiva per la conoscenza della situazione, e la sua mancata segnalazione agli organismi competenti.

Una situazione grave che richiedeva l’attivazione tempestiva di una pluralità di interventi adeguatamente finanziati: dalla messa in sicurezza dell’ attività produttiva alla bonifica strutturale dei terreni e delle falde del sito produttivo; dai sistemi di filtraggio e depurazione degli acquedotti e dei pozzi di irrigazione all’intervento strutturale per nuove fonti di approvvigionamento dell’acqua; da un piano di monitoraggio sulla contaminazione degli alimenti a un piano straordinario di sorveglianza sanitaria sui lavoratori e sulla popolazione residente.

Dopo un approccio iniziale di minimizzazione (è tutto sotto controllo), la Regione Veneto ha istituito una commissione tecnica per la programmazione e gestione della problematica, ed ha attivato una serie di interventi di ulteriore analisi e monitoraggio dei livelli di inquinamento sulle diverse matrici ambientali e nel sito produttivo; di filtraggio degli impianti di potabilizzazione; di progettazione di nuove tratte acquedottistiche; di screening e biomonitoraggio sanitario sulla popolazione residente nei territori interessati, poi allargata anche ai lavoratori coinvolti su nostra pressante richiesta.

Sono interventi attivati comunque con forti ritardi, e per alcuni aspetti solo parzialmente, sulla spinta di una continua sollecitazione della popolazione residente, dei comitati, delle associazioni territoriali, delle organizzazioni sindacali. Ma soprattutto, sin dall’inizio, in un contesto di continui rimpalli di responsabilità e competenze tra Regione e Stato che si protrae fino ad oggi, e che va immediatamente superato; in particolare sulla definizione di nuovi e più stringenti limiti quantitativi di presenza dei vari tipi di Pfas nelle acque e negli scarichi produttivi - solo in questi giorni deliberati dalla Regione, ma che a nostro avviso richiederebbero una definizione normativa anche a livello nazionale - e sullo stanziamento delle risorse economiche necessarie a costruire nuove tratte di approvvigionamento degli acquedotti, che vanno immediatamente messe a disposizione.

Questa vicenda è uno dei tanti esempi di anni di sviluppo produttivo senza regole, vincoli, controlli, senza mai adottare il principio di precauzione, che caratterizzano il nostro paese e anche la nostra regione. Penso all’amianto, a Porto Marghera, alle tante situazioni certificate a rischio di degrado ambientale, al distretto della concia che interessa lo stesso territorio oggi colpito dalla vicenda Pfas.

Da tempo il movimento sindacale è in prima fila nel rivendicare innovazione e sostenibilità nei processi produttivi e nell’utilizzo delle sostanze; adozione delle migliori tecnologie; misure efficaci di prevenzione, controllo e sorveglianza sanitaria per coniugare produzione, occupazione e tutela della salute e dell’ambiente. E’ quello che abbiamo fatto e stiamo facendo anche in questo caso, sollecitando i diversi livelli istituzionali, confrontandoci e relazionandoci con le diverse realtà territoriali, contrattando con l’azienda che cerca di scaricare tutte le responsabilità alle proprietà e alle gestioni precedenti, e si sottrae alla definizione di un nuovo piano industriale finalizzato e adeguato a programmare e creare le condizioni per garantire continuità, innovazione e sostenibilità produttiva.

Questo nella convinzione che la continuità dell’attività aziendale, in un contesto certo di messa in sicurezza, di assenza di sostanze inquinanti, di riconversione produttiva, e di programma di risanamento, sia una condizione importante non solo per salvaguardare l’occupazione ma anche per evitare rischi di abbandono e garantire un intervento concreto e realistico di bonifica del sito, facendone assumere alla proprietà aziendale, una multinazionale, la responsabilità e i costi.

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