Giovanni Franzoni è morto in luglio a 88 anni. La sua storia non può essere conosciuta da tutti anche perché troppi media non riescono o non vogliono informare ed educare su protagonisti che non siano del presente e dalla facile immagine. Egli ha fatto la storia, non quella dei grandi fatti della politica ma quella dei cambiamenti del costume, del modo di pensare, di vivere i rapporti sociali e interpersonali. Sono i cambiamenti che restano.
Franzoni era di Firenze, divenne monaco benedettino molto giovane e a 36 anni si trovò ad essere il responsabile di una delle grandi abbazie della cristianità, quella di San Paolo a Roma. Era un tradizionalista, quella era l’educazione ricevuta, viveva una forte spiritualità in una struttura ingessata e autoritaria anche se il monachesimo aveva (ed ha) spazi di autogestione ben più ampi di quelli delle strutture parrocchiali e diocesane. Franzoni fu eletto abate dai suoi monaci, senza interventi esterni, secondo la Regola di San Benedetto.
Si trovò “investito” da qualcosa che era imprevedibile quando entrò in monastero. Infatti la chiesa, convocata a Concilio da papa Giovanni (cinquemila vescovi), in quattro anni rovesciò il suo Dna allora chiuso alla cultura moderna e alla democrazia, aprì i rapporti con la chiese cristiane evangeliche e ortodosse, cancellò l’antisemitismo, abbandonò le liturgie in latino (a partire dalla messa), pose le premesse per cambiare la sua collocazione in gran parte occidentale e anticomunista.
Franzoni partecipò alle ultime due sessioni del Concilio non da protagonista, ma poi prese sul serio i cambiamenti proposti. La sua fu una vera personale rivoluzione culturale. In qualche modo la stessa di monsignor Romero e di tanti altri Ma Franzoni viveva a Roma sotto gli occhi della curia che, partiti i vescovi da Roma, decise di tenere tutto fermo. Il Concilio doveva essere una bella esperienza ma niente di più. Poi arrivò il ’68 nelle scuole e nelle fabbriche e, dal basso, la contestazione interna alla chiesa, per un profondo rinnovamento. Franzoni abbandonò le prassi ecclesiastiche di sempre e divenne anzi leader, con grande autorevolezza, di chi credeva nello “spirito del Concilio”, cioè nel cambiamento.
Il sistema ecclesiastico non poteva sopportare una tale guida, rapidamente dal 1973 al ’76 passò da abate della grande basilica a cristiano semplice, di base, visto con sospetto, con in mano solo la sua fede, il Vangelo e gli amici che avevano partecipato al suo percorso. In quei tre anni egli scrisse un memorabile testo “La terra è di Dio”, una denuncia della speculazione immobiliare a Roma in cui erano coinvolti tanti enti ecclesiastici, prese posizione contro la campagna che voleva abrogare la legge sul divorzio, ed espresse pubblicamente il suo voto al Pci. Franzoni fu il personaggio che intrecciò il suo radicamento nella vita di fede con scelte laiche e progressiste che, ora, a qualcuno possono sembrare ovvie, ma allora non lo erano affatto. In poche parole fu il punto di riferimento principale del movimento dei cristiani che ruppero col sistema monolitico che si era organizzato attorno alla Dc dal dopoguerra.
Il movimento dei “Cristiani per il socialismo”, la Teologia della liberazione, il movimento delle comunità di base, il movimento “Noi siamo chiesa” sono stati (e in parte sono ancora) le minoranze cristiane che cercano di praticare in modo diffuso un modo di vivere il Vangelo che sia meno di costume, di tradizioni e che sia invece, per essere credibile, parte di impegno forte per il cambiamento della chiesa e della società. Di questa area Franzoni, non fu magari il protagonista organizzativo ma il “padre spirituale”.
Franzoni non si disinteressava dei problemi della chiesa. Quando alla morte di papa Wojtyla ci fu l’ondata del “santo subito!” Franzoni elencò in modo efficace e puntiglioso quali erano i fatti che sconsigliavano vivamente la santificazione di Giovanni Paolo II. Franzoni negli ultimi anni perse l’uso della vista ma affrontò con serenità questa penosa situazione continuando a dettare testi, compresa la sua autobiografia uscita due anni fa. Con il pontificato di papa Francesco che sta andando nella direzione di molte delle sue proposte di riforma, i rapporti col Vaticano sono migliorati e, anche se il papa non ha preso l’iniziativa di contattarlo che molti aspettavano, l’attuale abate di San Paolo, Roberto Dotta, l’ha incontrato l’anno scorso per un gesto di fratellanza (insieme al cardinale James Harvey, arciprete della basilica), e ha partecipato ai suoi funerali.