Ho appreso della morte dell’amico, compagno e maestro Gabriele Centineo.
Protagonista, e persino a suo modo “mito”, di mezzo secolo di nuova sinistra a Catania. Dalla sinistra socialista e dal Psiup, fino a Rifondazione comunista, passando per la lunga militanza fra Pdup e Democrazia Proletaria, dove l’ho conosciuto e frequentato, nei miei anni del liceo e dell’Università.
Marxista di orientamento operaista e consiliarista, convinto del primato e di una certa autonomia del sociale, spietato contro l’involuzione autoritaria dei paesi socialisti, è stato un riferimento costante per la sinistra sindacale, nella Cgil, fra sindacato scuola-università e Camera del lavoro. A Catania, non c’è stata battaglia sociale e politica che non lo abbia visto attivarsi con tutte le sue sempre più esauste energie.
Nella mia personale memoria, le mobilitazioni a Comiso, la difesa della scala mobile, i referendum di Dp, l’uscita dal nucleare, in corteo con le bandiere rosse listate a lutto per l’eccidio di Tienanmen, gli accordi concertativi del 1992-93, la riforma delle pensioni del ’95, fino all’ultima, in difesa della Costituzione.
Per tanti che oggi ne piangiamo la perdita, Gabriele è stato quello che potremmo definire “una delle persone più intelligenti che abbiamo avuto l’avventura di conoscere”. Non so dire, se tale qualità sboccasse in un’azione politica conseguente, dal punto di vista della “razionalità strumentale rispetto al fine”. Essendo altrettanto forte, nell’uomo e nel politico, un incomprimibile e a volte clamoroso spirito settario. Ma, sempre alla maniera nobile e mai gretta della grande tradizione puritana e giacobina, di cui – certamente ne parlammo – non disdegnava l’attribuzione.
Era un uomo di una cultura davvero non comune. Oggi lo ricordano tutti anche per questo. Uno stimolo formidabile e per noi esemplare. Chimico per formazione e incarico accademico, sapeva rivelare una preparazione soverchiante nel campo umanistico e politico-sociologico. Persino al cospetto dei colleghi di quelle materie, non di rado visti soccombere, sotto la potenza rutilante del suo argomentare inoppugnabile.
Ugualmente nota, e persino leggendaria, era la sua rudezza. Celeberrimi gli epiteti con cui liquidava gli avversari e i politici di cui aveva poca stima. “Un bandito” era fra i più ricorrenti. E però era anche in grado di suscitare la più autentica delle simpatie e - vorrei dire - delle tenerezze. Impossibile non volergli bene. Quel suo sorriso sornione; ti scaldava il cuore, quando eri riuscito a strapparglielo. Per quel suo modo generosissimo, incondizionato e disarmante di dedicarsi a una causa.
Credeva moltissimo nei giovani, che lo ricambiavano con riconoscenza e affetto quasi filiale. Me lo ricordo al mio fianco, a incoraggiarmi, quando emozionatissimo – poco più che diciottenne - tenni il mio primo comizio nella mia Riposto (CT), in occasione del referendum del 1985 contro i tagli alla scala mobile.
Per ragioni che non so spiegare, penso di essere fra quelli - pochi - con cui non ha mai litigato. Con lui mi piaceva discutere delle tesi sul controllo operaio di Libertini e Panzieri, di guerra civile spagnola (dopo l’uscita di “Terra e liberta” di Ken Loach) o di Otto Neurath.
Venne alla seduta della mia laurea, con Mario e Pietro Barcellona, e lo considerai un grande onore.
Come tutti, mi preoccupava quel suo esagerato trascurarsi; in tutti i sensi; a cominciare dalla salute. L’eterna sigaretta in bocca; i pantaloni spiegazzati; il cappottaccio antracite. Ma lui era fatto così.
E ci piaceva così. L’incarnazione vivente, e rara, di un disumano rigetto antropologico per qualunque forma di narcisismo. Un professore universitario di rango, nemico giurato dell’”homo academicus”; delle sue liturgie, dei codici corporativi e semantici di casta. “Di classe”, avrebbe detto lui certamente. Di una spanna al di sopra di tutti gli altri, esibiva una sconcertante umiltà. Durissimo, certo, nell’esporsi politicamente. Ma mai e poi mai per trarne un qualche riscontro personale. Fa specie pensare che un uomo politico di una tale levatura intellettuale, politica e morale - che all’impegno ha dedicato ogni minuto della sua esistenza - non abbia ricoperto neppure un incarico da consigliare comunale di paese. Anti-stalinista e libertario, internazionalista e pacifista, un vero, grande comunista come pochi altri, anche quando, teoricamente, erano tanti. Figurarsi oggi.
Un impegno e una dedizione siffatta non sono mai stati nelle mie corde. E tuttavia, non posso non ammirare e rimpiangerli, per il modo alto e pressoché inarrivabile di impegno per gli altri con cui Gabriele ha dimostrato, col suo sacrificio quasi religioso, che la politica può essere una straordinaria risorsa laica di senso a cui dedicarsi nella vita. Grazie per tutto, Gabriele. Ti voglio bene.