Infortuni: la cultura della sicurezza e il ruolo di rappresentanza - di Massimo Balzarini

 

Nonostante l’ottimismo dell’Inail, i dati sugli infortuni sul lavoro non sono incoraggianti.

Nei giorni scorso l’Inail ha diffuso i dati sugli infortuni sul lavoro, consuntivi per il 2016, sia per gli infortuni mortali che per il complesso, con una prima analisi che ha consentito all’istituto di indicare un miglioramento complessivo della situazione infortunistica, pur riconoscendo un aumento delle malattie professionali.

L’analisi dell’andamento infortunistico non si deve esaurire nella sterile analisi statistica, ma ci dovrebbe consentire di capire se le misure messe in campo per la tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori sono efficaci. Misure che comprendono un apparato legislativo robusto, un sistema istituzionale, organi ispettivi attivi sul territorio. Eppure i dati non sono incoraggianti. A livello nazionale sono 1.104 le morti sul lavoro nel 2016 (1.286 nel 2015). Aumentano invece le denunce di malattia, che nel 2016 si attestano a circa 60mila (1.300 in più rispetto al 2015).

A livello lombardo le denunce d’infortunio con esito mortale, nel 2016, sono state 132, erano 176 nel 2015. Più della metà delle vittime supera i 50 anni, in quattro avevano addirittura più di 75 anni. Si ripetono le solite cause: caduta dall’alto, interazione con mezzi in movimento e ribaltamento di mezzi agricoli. Quanto alle denunce di incidenti sul lavoro senza esito mortale, non sono diminuite rispetto al 2015: erano 116.685 nel 2016, contro i 116.593 dell’anno precedente.

Seppur in presenza di un miglioramento tendenziale, in anni comunque di crisi economica con riduzione del numero di lavoratori attivi, siamo in presenza di un dato drammatico, almeno dal punto di vista umano: nel nostro paese si continua a morire e ammalarsi di lavoro, un prezzo inaccettabile, concetto che ci auguriamo condiviso da tutta la società civile.

Alcune riflessioni vanno fatte, a partire dalla formazione dei lavoratori, spesso oggetto di business, quindi non necessariamente efficace, di fatto perdendo l’opportunità di trasformare la formazione nella forma primaria di prevenzione, rendendo consapevole il lavoratore dei rischi a cui è esposto, rendendolo parte attiva del processo e non solo mero esecutore di procedure avulse dal reale contesto produttivo.

Sempre in questa ottica, tutto il processo di valutazione del rischio, se non coinvolge in modo reale tutti i soggetti della prevenzione a partire dai lavoratori e dei loro rappresentanti, si riduce a puro adempimento formale e non sostanziale. Si produce “molta carta”, sulla cui utilità rimangono tutti i dubbi. Il nodo rimane quindi culturale: è necessario che le gli imprenditori comprendano che la sicurezza effettiva non si realizza rispondendo solo formalmente agli adempimenti legislativi, cosa sicuramente di estrema importanza, ma non sufficiente a ottenere una drastica riduzione del dato infortunistico.

Questo dubbio è confermato dagli orientamenti istituzionali e legislativi, sempre orientati ad una riduzione degli adempimenti legislativi, non nel senso della riduzione burocratica, ma nel “rendere” meno onerosa la sicurezza nei luoghi di lavoro. Dobbiamo anche interrogarci sul ruolo degli Rls, sempre più trasformati in tecnici della sicurezza a discapito del loro ruolo di “attore primario” della prevenzione. Temi come organizzazione del lavoro, orari, turnazione, mansione e carico di lavoro, non sono solo di ambito strettamente negoziale o contrattuale, ma attengono alle condizioni di sicurezza del lavoratore, quindi non solo di competenza della Rsu.

La modifica delle condizioni di lavoro, sempre più immateriale, con una disponibilità 24 ore al giorno e sette giorni a settimana, sta facendo emergere nuovi rischi, con un invecchiamento della popolazione attiva, senza trascurare fenomeni come lo stress lavoro correlato che viene sottovalutato o non correttamente prevenuto, con la conseguenza dell’aumento delle patologie.

Molto si è fatto; certamente le condizioni di lavoro sono migliorate, ma dobbiamo essere consapevoli che questo è un diritto da difendere e non si può dare per acquisito e che il ruolo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza deve essere al centro dell’attenzione del nostro agire sindacale.

 

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