Nelle conclusioni all’Assemblea generale della Cgil, il segretario generale Susanna Camusso ha detto importanti parole di verità e giustizia sul tema dell’immigrazione. Che non è un fenomeno emergenziale, ma strutturale. Che non rappresenta una minaccia, ma semmai un’opportunità. Parole tanto più significative di fronte al desolante spettacolo della politica che – da Renzi al governo, dai fascisti, xenofobi della destra e della Lega ai 5 Stelle – strumentalizza gli arrivi di profughi e le paure di una parte degli italiani per distogliere l’attenzione dai veri problemi del paese. Povertà, diseguaglianze, disoccupazione, bassi salari, continua riduzione del welfare, corruzione, criminalità organizzata: queste sono le vere minacce alla coesione sociale e al futuro dei cittadini. Scaricare tutto sugli immigrati e i profughi è un’operazione scellerata e miope che si ritorcerà contro un paese da tempo alle prese con il declino demografico. L’attacco alle Ong, la minaccia di chiudere i porti, il ripetuto uso dell’ “emergenza sbarchi” per chiedere sconti sul rapporto deficit-pil: sono tutte cortine fumogene che hanno il solo risultato di alimentare un clima xenofobo e razzista in fasce di popolazione stremate dalla crisi e disorientate dalla martellante propaganda sull’ “invasione straniera”.

Quanto poi ai nazionalisti e sovranisti europei – così ben diffusi in tutte le famiglie politiche, a partire dal celebrato neo campione dell’ “europeismo” Macron – la loro risposta è appaltare a suon di quattrini la difesa dei confini meridionali della “Fortezza Europa” a paesi di specchiata democraticità e sicurezza come la Turchia, la Libia (!?), e anche il Niger o il Ciad. Dove installare e finanziare grandi campi di concentramento per impedire a migranti e profughi di partire verso il nostro continente. Questa è la vera sostanza dello slogan – unanime tra i tre maggiori schieramenti politici italiani – dell’ “aiutiamoli a casa loro”. Con buona pace dei quotidiani discorsi sui valori fondanti dell’Europa e il rispetto dei diritti umani.

La Cgil sta, come sempre, dalla parte della buona politica. Delle scelte che guardano al futuro. Ci battiamo, non da oggi, per politiche intelligenti di accoglienza e convivenza, basate sulla piena eguaglianza dei diritti e dei doveri. Chiediamo con forza al Senato di approvare finalmente la nuova legge sulla cittadinanza, per le centinaia di migliaia di ragazzi nati o cresciuti in Italia, cittadini a tutti gli effetti. E al governo che abbandoni l’insensata politica securitaria per scelte chiare, organizzate e programmate di accoglienza diffusa in città vivibili, superando l’assurdo reato di clandestinità, aprendo corridoi umanitari e percorsi legali di accesso al nostro paese. Su questo sì avrebbe senso “sfidare” l’egoismo degli altri governi europei.

Anche se gli enti istituzionali disegnano un paese che, dopo dieci lunghi anni di crisi, ha iniziato a muoversi, gli italiani restano pessimisti. A segnalarlo è una indagine di Tecnè e Fondazione Di Vittorio, nella quale è stato registrato che il 20% degli intervistati teme un ulteriore peggioramento delle proprie condizioni economiche nella stagione 2017-18, mentre il 70% pensa che non cambierà nulla, e un piccolo 10% si attende invece un miglioramento.

Rispetto allo scorso anno, e anche questo è un dato da non sottovalutare, soltanto il 4% degli italiani si sente economicamente più sicuro rispetto al 2016. Mentre il 32% considera peggiorata la propria situazione economica, e un 24% si sente più vulnerabile.

Nel complesso, solo il 22% degli intervistati da Tecnè e Fondazione Di Vittorio vive una condizione di serenità economica e sociale. Mentre il 46% racconta di trovarsi in una condizione instabile, e ben un terzo (il 32%) vive in difficoltà economiche. “Il lavoro svolge ancora un effetto positivo – segnala ancora il rapporto - ma in modo meno accentuato rispetto al passato”. Effetto diretto, con tutta evidenza, di una precarietà diventata in questi ultimi anni la cifra ultima del cosiddetto “mercato” del lavoro. Non per caso, fra i lavoratori dipendenti scende al 20% la quota di chi si ritiene con difficoltà economiche. La paura del domani poggia, purtroppo, su solida basi: “L’ascensore sociale rispetto al periodo pre-crisi si è bloccato per il 55% delle persone. Sale per un ristretto 7%, e al contrario scende per il 38% degli intervistati”. Conclusioni d’obbligo: “Si tratta di un fenomeno più volte denunciato, e che trova un’ennesima conferma in questi dati, di un lavoro che si impoverisce e si precarizza. Contribuendo a creare un generale effetto di scarsa fiducia, fortemente basato anche sul crescere delle diseguaglianze”.

Ci siamo. Dal 10 luglio sono tornati i voucher. C’è anche la circolare Inps numero 107 del 5 luglio. Il referendum, per il quale aveva firmato più di un milione di persone, non si è svolto. A marzo il governo Gentiloni ha abolito i voucher, “per non dividere il paese”. Cioè, per evitare un altro 4 dicembre. Invece di confrontarsi con chi aveva promosso quei referendum, il governo ha poi scelto un’altra strada. La commissione bilancio della Camera ha ripescato i voucher con un emendamento alla “manovrina”, presentato dal Pd e approvato anche con il voto di Forza Italia e Lega. Renzi, Berlusconi e Salvini insieme, contro i diritti dei lavoratori. Impossibile modificare il provvedimento: passa con voto di fiducia al Senato (quello che volevano abolire). I fuoriusciti dal Pd hanno scelto di abbandonare l’aula, facendo abbassare il quorum per l’approvazione.

Forse c’è anche un problema di incostituzionalità, ma sta di fatto che i voucher sono tornati. Ora si chiamano “Contratto di prestazione occasionale” (“Cpo” o “PrestO, per Boeri) e “Libretto Famiglia”, LF, a seconda se il lavoro occasionale è a vantaggio della miriade di imprese con meno di cinque dipendenti o di persona fisica. E’proprio quel mondo di piccole imprese che ha fatto esplodere i vecchi voucher. Nel vuoto creato dall’abolizione aveva (ri)scoperto i contratti di lavoro, anche se precari, che però hanno un difetto: costano ai padroni, al contrario dei voucher. Perché con i contratti, anche se precari, i lavoratori diventano soggetti titolari di diritti: ai contributi, alla malattia, alla liquidazione.

I nuovi voucher sono contratti-non contratti. Potranno farne uso professionisti, lavoratori autonomi, imprenditori, imprese del settore agricolo nonché, ebbene sì, quella pubblica amministrazione dove i lavoratori che vanno in pensione non vengono sostituiti. E’ un imbroglio dire “per esigenze temporanee e eccezionali” tra cui lo “svolgimento di lavori di emergenza correlati a calamità o eventi naturali improvvisi”! Non ne possono farne uso imprese nell’edilizia e affini e nell’esecuzione di appalti.

Il compenso minimo non può essere inferiore a 9 euro per ogni ora di prestazione, e l’importo giornaliero non può essere inferiore a 36 euro, pari a quattro ore lavorative anche qualora la prestazione giornaliera dovesse essere inferiore. Da aggiungere 2,90 euro per contributi Inps, e 0,32 euro per Inail.

Non è cambiato nulla: i contributi sono sempre nella Gestione separata dove, si sa, le settimane accreditate dipendono dai contributi versati e non dai mesi lavorati. Il tetto massimo scende a 5mila euro l’anno, con un ulteriore limite di 2.500 euro annui per le prestazioni rese al singolo datore di lavoro. I “prestatori” possono essere pensionati, giovani sotto i 25 anni se studenti, disoccupati, titolari di prestazioni integrative del salario. Anche la durata è limitata: 280 ore all’anno. Superati tali limiti, il rapporto di lavoro viene trasformato in subordinato a tempo pieno e indeterminato. Dovrebbe essere la sanzione più pesante.

Nel settore agricolo possono essere diversi sia la durata che il compenso, dipendendo dal contratto collettivo stipulato con le associazioni sindacali di categoria. Non è possibile fare ricorso al Cpo se il lavoratore è già dipendente o se lo è stato nei sei mesi precedenti la prevista prestazione.

Addio acquisto dal tabaccaio e riscossione quasi immediata: pagherà l’Inps entro il 15 del mese successivo a quello di svolgimento della prestazione con accredito su conto corrente bancario/postale, o su libretto postale o su carta di credito. Per accedere a Cpo o LF si utilizza l’apposita piattaforma telematica dell’Inps. Per il Cpo i dati vanno comunicati almeno un’ora prima dell’inizio della prestazione Se questa non dovesse essere resa, la dichiarazione può essere revocata entro le ore 24 del terzo giorno successivo, salvo intervento del lavoratore (e qui libero sfogo alla fantasia sui possibili scenari).

Invece il LF può essere utilizzato solo da persone fisiche per lavori domestici; assistenza domiciliare a bambini e persone anziane con disabilità; per le lezioni private. In questo caso il valore nominale è fissato a 10 euro per prestazioni di durata non superiore a un’ora, di cui 1,65 euro per Inps (sempre gestione separata), 0,25 euro per Inail e 0,10 euro per oneri di gestione. In questo caso i dati vanno comunicati al termine della prestazione lavorativa e comunque non oltre il terzo giorno del mese successivo a quello di svolgimento della prestazione stessa. E’ un imbroglio. Non si chiamano voucher ma sempre schifezza sono, e il governo di certo non sconfigge così né precariato né lavoro nero. Anzi. 

(Articolo pubblicato sul numero 6 di Reds, foglio di collegamento di Lavoro Società Filcams Cgil)

Pensioni: dai primi risultati lo slancio per la “fase due” - di Merida Madeo

 

E' arrivata la quattordicesima per tre milioni e mezzo di pensionati. Accreditata il primo luglio presso le Poste e il 3 luglio presso le banche. Spetta a tutti quelli che sono in pensione da lavoro privato, pubblico e autonomo che abbiano compiuto 64 anni di età e il cui reddito personale annuo non superi i 13mila euro. Per ottenerla non è necessario fare alcuna domanda: è erogata automaticamente dall’Inps. Chi ha una pensione fino a 750 euro lordi al mese riceve una somma maggiorata del 30% rispetto alla precedente quattordicesima. La riceve per la prima volta invece chi ha una pensione fino a 1.000 euro lordi al mese. La misura è stata definita con il verbale tra governo e sindacati dello scorso 28 settembre, ed è contenuta nell’ultima legge di bilancio.

La misura riguarda le pensioni basse, quelle cioè legate alla contribuzione, e non le pensioni minime come continua a dire Matteo Renzi, forse per ignoranza. La quattordicesima infatti viene erogata in base a quanti contributi si sono effettivamente versati durante la propria vita lavorativa. Non è una misura a pioggia, ma risponde alle aspettative di chi ha lavorato e versato contributi.

Mentre, con ritardo e a fatica, si è finalmente avviata anche la fase di accesso all’ape social (altro punto del verbale d’intesa del 28 settembre 2016), i sindacati hanno ribadito la necessità di ampliare le risorse messe a disposizione dal governo per l’anticipo pensionistico, considerate la quantità di richieste escluse per esaurimento dei finanziamenti, e di modificare i due requisiti indicati per l’accesso (36 anni di contribuzione e gli ultimi sei anni continuativi di lavori gravosi), perché la maggioranza dei lavoratori edili rischia di restare fuori da quest’opportunità, visto il settore dove la discontinuità del lavoro è molto diffusa.

Intanto il confronto sulla cosiddetta “fase due” è partito in modo interlocutorio, senza che il governo abbia ancora scoperto le sue carte e dato risposte concrete alle proposte del sindacato, in coerenza con lo stesso verbale sottoscritto tra le parti l’anno scorso. Bisogna, anzitutto, dare risposte ai giovani, attraverso la cosiddetta “pensione di garanzia”. Il ricorso alla previdenza complementare non può essere la soluzione, perché chi non riesce a costruire il primo pilastro non può neanche costruire il secondo. La proposta dei sindacati è quella di valorizzare la presenza e l’attività nel mondo del lavoro, non di dare a tutti una pensione minima garantita: a chi è disoccupato e segue un periodo di formazione, chi ha il part time, chi fa lavori di cura, chi ha contributi bassi come i collaboratori, i lavoratori pagati con i voucher, le colf che operano per poche ore, per tutti loro va valorizzato un periodo contributivo ulteriore.

Questo intervento sarà a carico della fiscalità generale, ma il meccanismo proposto costa meno della pensione minima per tutti e degli interventi assistenziali di soccorso alla povertà, che diverrebbero necessari di fronte a pensioni misere. E’ un sistema virtuoso contro l’evasione contributiva, perché i contributi troppo bassi per maturare una pensione vanno di fatto perduti. In questo ambito si colloca l’introduzione del riconoscimento contributivo del lavoro di cura, consentendo così, a tutti coloro che hanno sospeso o ridotto il lavoro per accudire un familiare, di avere i contributi necessari per andare in pensione.

Un altro nodo sicuramente da sciogliere è quello della modifica della norma che impone l’incremento dell’età pensionabile in caso di innalzamento delle aspettative di vita da parte dell’Istat: è già evidente come la riforma Fornero abbia trattenuto al lavoro troppi anziani, impedendo l’ingresso dei giovani, il cui tasso di disoccupazione continua ad essere intorno al 40%. Inoltre è altrettanto evidente che serve una misura di equità con la diversificazione delle speranze di vita per tipologia di lavori svolti. Anche la revisione dei meccanismi di rivalutazione, adottando meccanismi a scaglioni di reddito, è un punto da consolidare sulla base dei primi impegni del verbale dello scorso anno. C’è poi il tema della previdenza complementare, di cui va promossa l’estensione e di cui vanno favoriti gli investimenti dei fondi nell’economia reale. L’attivo nazionale unitario del 13 luglio è stata l’occasione per rilanciare con forza queste richieste.

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