La cultura è un bene fondamentale per la crescita individuale e lo sviluppo di un territorio, ma troppo spesso è considerata secondaria se non un costo per la comunità. Nello spettacolo dal vivo operano migliaia di lavoratori che contribuiscono ad arricchire la vita di ognuno di noi, svolgendo un mestiere faticoso e molto impegnativo. Eppure la realtà quotidiana di questi professionisti è poco o per nulla conosciuta, e anche le statistiche ufficiali ne offrono una rappresentazione limitata.
L’analisi dei dati Inps e Istat restituisce due rappresentazioni molto diverse per numerosità e tipologie professionali. L’Inps (ex Enpals) registra 136.571 individui con professioni creative e artistiche che nel 2015 hanno fatto almeno un versamento nelle casse previdenziali per lo spettacolo dal vivo. L’Istat, che considera la professione “prevalente”, stima invece circa 38mila professionisti.
La Slc-Cgil ha promosso una ricerca condotta insieme alla Fondazione Di Vittorio, con l’obiettivo di indagare i principali aspetti del lavoro dei professionisti dello spettacolo dal vivo. Allo stesso tempo si è configurata come una ricerca-azione per supportare l’intervento del sindacato e delle associazioni, partendo dai bisogni e dalle proposte dei lavoratori per costruire strategie di mobilitazione, sindacalizzazione e contrattazione.
I risultati descrivono un mondo fortemente frammentato, caratterizzato in maniera strutturale da lavoro precario, discontinuo, mobile sul territorio. I lavoratori hanno numerose difficoltà per difendere i propri diritti e per costruire azioni collettive per le loro rivendicazioni.
Al questionario hanno risposto circa 3.800 lavoratori (2.090 questionari validi per l’analisi statistica). I rispondenti sono soprattutto attori (60,5%), seguiti da autori, registi, drammaturghi, scenografi (17%), musicisti (15,5%), ballerini (7%). La ricerca restituisce l’immagine di un lavoro povero (la metà guadagna meno di 5.000 euro netti l’anno) e irregolare (il 37% lavora spesso in nero) e, in particolare, emerge il problema del “tempo non riconosciuto”, come per le prove (70%) e le ore in più non retribuite (60%).
Solo una quota marginale ha un contratto a tempo indeterminato (4%) mentre la maggior parte lavora con contratti a termine o autonomi e il 40% con più tipologie di contratti nel corso dell’anno. Una situazione di destrutturazione e varietà delle forme contrattuali, non solo a livello macro ma anche nelle biografie individuali. In questo scenario, appare sempre più evidente la necessità di affermare i diritti e le tutele per la persona al di là della forma specifica di impiego, come proposto dalla Cgil con la Carta dei diritti.
Analizzando le aspettative per il futuro, emerge con forza la consapevolezza dei lavoratori di trovarsi davanti un mercato caratterizzato inevitabilmente da discontinuità e frammentazione, così come a professioni con forte spinta verso l’autonomia. Chiedono soprattutto una maggiore continuità lavorativa con più diritti e tutele (la priorità per l’80,3%), mentre la richiesta di stabilizzazione riguarda una quota minoritaria.
Per fronteggiare i bassi redditi e la discontinuità, i lavoratori individuano alcune priorità per l’azione congiunta di sindacato e associazioni: l’istituzione di un equo compenso - una giusta paga minima per le mansioni svolte – è considerata un’urgenza per il 44,3% dei rispondenti, seguita dalla promozione di un sostegno al reddito in caso di disoccupazione (29,6%). E’ lungo questo doppio binario di tutele sul lavoro e tutele sociali che deve muoversi l’azione sindacale.
I servizi principali che i lavoratori chiedono al sindacato sono l’assistenza per l’accesso all’indennità di disoccupazione (nel 26,5% dei casi al primo posto come servizio necessario) seguito dall’assistenza fiscale e legale (20%). Considerando la contrattazione territoriale, le priorità nei confronti delle istituzioni locali sono la promozione di politiche per aumentare l’offerta di spettacoli e le opportunità di lavoro (nel 55,3% dei casi) seguita da una maggiore disponibilità di strutture pubbliche per compagnie, gruppi e associazioni (31,8%). A questo si affiancano altre politiche di settore, ritenute fondamentali dalla quasi totalità dei rispondenti: il riconoscimento istituzionale della professionalità del lavoratore dello spettacolo (96,8%), un fondo regionale specifico per lo spettacolo sul modello del Fus nazionale (86,6%), un Testo unico per lo spettacolo dal vivo (84,3%).
Emerge la possibilità per il sindacato di costruire reti partendo dai bisogni e dagli obiettivi comuni individuati dai lavoratori, costruendo insieme alle associazioni percorsi di mobilitazione per affermare diritti fondamentali, capaci di riunificare il mondo del lavoro anche in contesti di estrema frammentazione e discontinuità.