La Cgil ha delineato un progetto per le aree terremotate che vada oltre la prima ricostruzione.

Il cratere del sisma 2016/17 è lo specchio di ciò che funziona bene nel nostro paese e di quello che non funziona affatto. Nel primo caso dobbiamo testimoniare, come in altre tragiche vicende nazionali (dal disastro del Vajont e l’alluvione di Firenze), l’esistenza e la persistenza di un grande moto di solidarietà fatto di organizzazioni e di singoli che mettono personalmente in gioco proprie risorse e lavoro, per assistere ed aiutare in vari modi le popolazioni colpite.

Anche la Protezione civile, nelle sue articolazioni nazionale e locali, spesso il primo soggetto ad arrivare nei luoghi disastrati, funziona con tempestività, energia e attenzione alle realtà in cui opera. Diversamente dalla Protezione civile del decennio scorso, che assumeva su di sé tutti i poteri di scelta e di decisione, nel recente sisma in Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria la Protezione civile ha avviato subito una complessa rete di relazioni istituzionali con i sistemi e le comunità locali e regionali. L’ufficio speciale del Commissario alla ricostruzione ha operato in questa stessa logica, tentando di decentrare le competenze, snellire le procedure burocratiche che avrebbero paralizzato l’azione degli organi di governo locale competenti, e garantire allo stesso tempo la legalità.

A questi soggetti, nella parte “positiva” della fotografia della realtà, vanno aggiunti i corpi intervenuti subito nella prima emergenza e successivamente a gestire problematiche complesse di controllo e sicurezza (Vigili del fuoco, Polizia, Carabinieri ed Esercito). Più complesso il quadro delle insufficienze e delle inadeguatezze. Sgombriamo subito il campo: non siamo di fronte alla mancanza di risorse economiche, né nazionali, né regionali, né europee. Il problema è semmai come vengono impegnate, e su quali priorità e progetti.

Quello che non va è l’assenza di una governance razionale e coerente delle emergenze (come abbiamo visto persino di fronte alle avversità meteorologiche dell’ultimo inverno). La realtà istituzionale dell’area del cratere è composta di comuni troppo piccoli, e suddivisi in decine di frazioni distanti fra loro, per gestire tutto ciò che non è ordinaria amministrazione. Poi c’è l’assenza di Unioni comunali, la scomparsa di enti di area vasta, e quattro Regioni i cui presidenti, che pure sono vice commissari alla ricostruzione, non coordinano i propri territori e non si coordinano nemmeno fra loro. Infine il governo, che ha definito a ottobre 2016 un ambizioso piano pluriennale di prevenzione dei rischi del paese (vedi “Casa Italia”), e poi l’ha prontamente dimenticato. Delegando alla Protezione Civile e al Commissario ogni competenza sui problemi del sisma.

Ovviamente queste insufficienze non sono insorte dopo il terremoto dell’agosto 2016, ma vengono da esso amplificate per le aree del cratere. Le stesse incapacità e inadeguatezze sono riscontrabili in tutte le aree interne del paese, fragili per scarsità di popolazione e di attività economiche ma ricche di patrimonio storico, ambientale, artistico e culturale.

La Cgil, senza rinunciare a rivendicare interventi più adeguati legati ad un’emergenza che non è finita e a una ricostruzione ben lungi da essere consolidata, ha definito, assieme alle strutture regionali e territoriali interessate, un piano di sviluppo economico e sociale che ha l’obiettivo (certo pluriennale) di attrarre popolazione e attività economiche nell’area del sisma (e nelle aree interne), e di definire una prospettiva economica e sociale che va oltre la prima ricostruzione.

Il piano individua come priorità il ripristino delle infrastrutture legate alla mobilità di persone e cose (strade e ferrovie), la ricostituzione dei servizi sociali minimi perché una comunità possa vivere dignitosamente (istruzione, sanità e assistenza, cultura e tempo libero), la valorizzazione del patrimonio del territorio per favorire nuovo turismo di qualità. Queste e altre priorità debbono essere organizzate in piattaforme e progetti, fatte vivere e condividere nei territori e presentate in forma organizzata ai comuni e alle regioni.

Questo percorso, già avviato unitariamente a livello regionale, dovrà essere sostenuto da un confronto da aprirsi al più presto con il governo. Prima che l’autunno e l’inverno tornino a riproporre i temi dell’emergenza ed a riavviare i fenomeni di spopolamento e impoverimento di quelle comunità.

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