Le nuove misure sul lavoro autonomo non affrontano molti temi e sono lontane dai diritti universali della Carta proposta dalla Cgil.
Le sconfitte sono orfane, le vittorie hanno molti padri. A giudicare dal numero di associazioni che si intestano il merito dell’approvazione delle misure sul lavoro autonomo - praticamente tutte - sembra proprio che questo provvedimento sia una vittoria per il mondo del lavoro non dipendente.L’effetto più importante è senza dubbio l’aver ricondotto per la prima volta i freelance nell’alveo dei lavoratori, di avere riconosciuto che anche i professionisti e gli autonomi hanno bisogno di diritti e di tutele, che, infine, non sono più - solo - quegli alto affluenti che attraverso i loro redditi sono in grado di “comprare” i loro diritti.
Dal punto di vista del riconoscimento politico questo travagliato e lungo percorso di approvazione che ha messo al centro lavoratori finora invisibili, la serie di audizioni e incontri informali con le loro associazioni è stato probabilmente il motivo principale dell’entusiasmo che ha accompagnato il provvedimento. Se lo inquadriamo considerando questo effetto-riconoscimento è certamente più comprensibile il condiviso grido di vittoria anche di fronte al tradimento di alcune promesse.
Due premesse, tuttavia, ci aiutano a contestualizzare questa legge. Prima di tutto va detto che il provvedimento non affronta molti dei temi più cari ad autonomi e freelance più deboli. Poco welfare, nessun accenno ad un compenso minimo o regolato, pochissimo sui mancati pagamenti. In secondo luogo la frammentazione legislativa corre in direzione opposta rispetto a quella disegnata dalla Carta dei diritti. Se siamo d’accordo che a seconda delle modalità di lavoro i diritti vanno esercitati in maniera specifica, ciò non toglie che un nucleo base di diritti va previsto perché possa in futuro essere applicato per ogni “nuova” modalità di lavoro che potrà nascere nei prossimi anni, o che è già nata - si pensi ai lavori nella gig economy, al crowdworking, alla sharing economy.
Tra le misure previste, quelle più pubblicizzate sono relative a maternità e malattia. Si estende il periodo di congedo parentale, si slega l’indennità di maternità dalla effettiva astensione, si sospendono gli obblighi previdenziali in caso di malattia grave, si equiparano i periodi a casa a quelli ospedalieri nei casi di terapie per malattie importanti. Tutte richieste storiche del mondo organizzato dei freelance che hanno trovato una risposta in questa legge.
Importante anche l’aver previsto (solo per i non forfettari) la possibilità di dedurre le spese di formazione, visto che la competenza è il vero capitale di quei freelance senza dipendenti il cui strumento di lavoro principali è una conoscenza che se non aggiornata, rischia di relegarli ai margini del mercato. Importante è anche stata la stabilizzazione della Dis-Coll, soprattutto la sua estensione a dottorandi e ricercatori, storica battaglia di Flc Cgil.
Vi è poi una parte che doveva essere la tutela nei confronti delle clausole abusive e che avrebbe dovuto dare certezza ai rapporti coi committenti la quale invece dimostra una insufficienza colpevole. Colpevole perché sarebbe bastato poco (ad esempio approvare gli emendamenti Cgil) per riequilibrare davvero i rapporti tra parti asimmetriche quali sono il professionista e il committente quando è azienda (quando è invece un cittadino consumatore l’asimmetria è molto più sfumata o deriva da condizioni imponderabili a priori).
Su tutte andrebbe citata la poca forza dell’obbligo di contratto scritto, laddove il professionista dovrà dimostrare di aver ricevuto un rifiuto esplicito ad una sua richiesta; il prolungamento con sospensione del rapporto di lavoro in caso di gravidanza, malattia o infortunio “salvo il venir meno dell’interesse del committente”; e in generale la mancanza di una sanzione certa in caso di clausole abusive. Va aggiunto che l’inclusione dei co.co.co tra i destinatari finisce per rendere sbagliate misure che invece per gli autonomi sono corrette. Speriamo derivi solo da una errata lettura dei reali rapporti di collaborazione.
Sarà necessario che il sindacato e le associazioni (non gli ordini) siano presenti al tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo per trasformarlo in strumento che corregga ciò che può essere corretto e prosegua il percorso che deve portare gli autonomi ad essere davvero tutelati in tutti i momenti di fragilità lavorativa.