Ottanta ricercatori, 550 interviste e mappature per uno spaccato di 1.100 pratiche di economia sociale e solidale che coinvolgono, da sole, più di 13mila persone. E’ il laboratorio internazionale che ha realizzato la ricerca “Economia trasformativa: opportunità e sfide dell’economia sociale e solidale in Europa e nel mondo” nell’ambito del progetto “Social & solidarity economy as development approach for sustainability (Ssedas) in Eyd 2015 and beyond”, iniziativa sostenuta dall’Unione europea, coordinata in Italia dall’ong Cospe in collaborazione con l’associazione Fairwatch.
La ricerca ha tentato di raccontare la trasformazione concreta dell’economia nei territori e nelle comunità ai tempi della crisi, coinvolgendo ambiti diversi - dall’agricoltura ai servizi - e riflettendo le peculiarità di ogni contesto nazionale. E’ stata condotta, infatti, in 32 paesi, 23 dei quali membri dell’Ue (46 territori) e 9 in America Latina, Africa e Asia (Bolivia, Brasile, Uruguay, Mozambico, Tunisia, Palestina, India, Malesia, Mauritius). La ricerca è stata presentata per la prima volta a Roma, al Senato, raccontando le pratiche più significative di economia sociale e solidale capaci di una progettualità innovativa, orientata alla costruzione di un modello di sviluppo locale alternativo a quello dominante.
Quello delineato non è un “programma di sviluppo” organico, sostanzialmente uguale in territori e stati tanto diversi tra loro, tra i quali le distanze non sono solo geografiche. Rivela, però, che realtà analoghe siano emerse in pochi anni in società lontane, che valori profondamente umani stiano caratterizzando attività economiche così simili in alcuni contenuti e obiettivi concreti, soprattutto che un anelito verso relazioni interpersonali e collettive più ricche e innovative sia sostanzialmente comune in territori apparentemente agli antipodi.
Ad ogni latitudine considerata, tuttavia, il processo di economia sociale e solidale incrocia le intenzioni (almeno dichiarate) delle principali strategie di politica pubblica verso uno sviluppo sostenibile, attraverso la pratica concreta e quotidiana di alcune costanti: l’auto-organizzazione collettiva per sostenere la vita (umana e non umana); il coordinamento democratico delle imprese economiche e sociali; l’autonomia delle imprese; il lavoro e la proprietà collettiva e/o partecipata (sharing) all’interno di soggetti e reti; un’azione civica e sociale partecipativa all’esterno di questi soggetti e delle loro reti; formazione e apprendimento permanente; la trasformazione sociale incentrata sui bisogni dell’essere umano e sull’ambiente.
E’ come se una ricerca (così poco tradizionale, così facilmente condivisa malgrado gli ostacoli di lingua e di cultura) avesse scoperto una trama sottile e fragile, anche se formata da realtà così radicate nelle rispettive società, che segnala la sua presenza in un gioco di originalità e sensibilità che chiedono senza voce di evolvere e di entrare in contatto. E non si tratterebbe di stimolare elaborazioni teorico-politiche o di inventare nuove forme di rapporti costruttivi tra pubblici poteri e esigenze sociali non coperte, ma solo di alimentare attentamente i processi di collegamento, imitazione, riproduzione e moltiplicazione (già emersi anche se non previsti) di realtà che già hanno dimostrato ampiamente di sapere sopravvivere ed evolvere perfino in ambienti difficili od ostili.
Si intravede la possibilità di creare schemi economici territoriali più complessivi, che operino verso modelli di alternative reali, anche in modo sperimentale, partendo da un insieme di organizzazioni che abbiano una conoscenza reciproca e specifici obiettivi (distretti economici di solidarietà, piani condivisi di sviluppo agricolo locale, reti e filiere di economia cooperativa, ecc.). Queste prospettive si proiettano oltre l’ambito della ricerca, ma possono trovare in essa il punto di partenza per progettare processi più complessi ed esigenti, come anche la possibilità di replicare più profonde trasformazioni, di grande interesse per la popolazione locale.
La proposta arrivata da parte politica è la creazione di un tavolo interparlamentare sull’economia solidale, per capire, in questo scorcio di legislatura, quali provvedimenti “a metà strada” possano essere accelerati per rendere un po’ più semplice la vita delle organizzazioni solidali e dei territori che ne beneficiano. Poi inserire nel Documento di programmazione economica e finanziaria, all’esame del Parlamento, un capoverso che impegni questo e i futuri governi al sostegno dei distretti e delle reti di economia solidale, come strumento di risposta alla crisi nazionale. Un inizio interessante, per una pratica amministrativa ancora tutta da immaginare.