Fibra, fibra, fibra. Non il cantante, è il nuovo mantra delle grandi compagnie delle telecomunicazioni. Il futuro è oggi, avvertono trionfanti le pubblicità. Tutto veloce, molto smart, molto cool. Poi però si sfogliano i giornali, in taglio (molto) basso si scopre che i lavoratori di tutto il settore sono arrabbiati. Hanno organizzato scioperi, manifestazioni, cortei.

Luca Damiani lavora alla Tim di Milano ed è uno dei tanti che a dicembre e poi ancora a marzo erano in piazza. Insieme a lui migliaia di colleghi, arrivati da tutto il nord Italia. Solo il nord, quelli del centro-sud erano a Roma. Sotto la Madonnina faceva bella mostra di sé uno striscione: “Meno bonus ai dirigenti, più futuro ai dipendenti”. Esplicita la richiesta: “Riavere giorni di ferie che ci sono stati tolti, un contratto e la dignità”. Ora Telecom ha un’azionista di riferimento francese, Vivendi di Bollorè. Non è cambiato molto, vero? “Per spiegare, meglio cominciare dall’arrivo dei francesi, lo scorso anno. Con la scelta dell’amministratore delegato Cattaneo - racconta Damiani - Vivendi ha fatto capire da subito che voleva tagliare il costo del lavoro, a partire da quello dei suoi dipendenti.

Ai piani alti la chiamano ‘razionalizzazione’, in realtà si tratta di una strategia particolarmente aggressiva. I tagli del vecchio piano industriale non erano sufficienti. Sono passati da seicento milioni a un miliardo e seicento milioni da risparmiare. Un miliardo tondo tondo in più. Non basta, a febbraio hanno fatto un aggiornamento e hanno chiesto altri trecento milioni di ‘contenimento’ dei costi”. Somme enormi, giustificabili solo con il debito finanziario di Telecom Italia mobile (26miliardi), ma non certo il miglior viatico per iniziare una nuova stagione di sviluppo. “Sono state aggredite tutte le voci di costo - specifica Damiani - partendo dai fornitori, passando per l’infinito mondo degli appalti, concludendo con noi. Il primo segnale è stata la mancata erogazione del premio di produzione, mai successo negli ultimi quindici anni”.

Dalle privatizzazioni della seconda metà degli anni novanta, l’evoluzione industriale e tecnologica di Telecom è stata minata alla base dalle scalate, che hanno visto via via sulla plancia di comando i capitani coraggiosi, Colaninno e Gnutti, poi Tronchetti Provera con le banche e ora la Vivendi di Vincent Bollorè.

“Il nuovo management dell’azienda ha agito in modo unilaterale - denuncia Damiani - imponendo la cancellazione di diritti acquisiti, il taglio di permessi accumulati negli anni, forzando il contratto nazionale”. Proteste e mobilitazioni dei dipendenti anticipano il tavolo di trattativa. “Il 6 ottobre scorso, Vivendi si è presentata con venti slide per spiegare, in sostanza, che il mondo è cattivo. Da qui la consegna di un plico alle organizzazioni sindacali con dentro la formale disdetta degli accordi del 2008. Inaccettabile è poco, direi una proposta delirante”, sottolinea il delegato Slc Cgil.

Il 13 dicembre metà azienda è in piazza, i lavoratori danno vita a iniziative in tutta Italia, mobilitazioni spontanee, scioperi organizzati e non, usano i social per darsi appuntamento. L’azienda tira dritto per la sua strada, per la Cgil è rottura, mentre Cisl, Uil e Ugl decidono di partecipare a un’altra serie di incontri. Il 14 marzo un altro sciopero, di otto ore, indetto dalla sola Slc Cgil. Due manifestazioni, a Roma e Milano, e una grandissima partecipazione, il 65% dei dipendenti. “Saremmo andati ovunque per protestare - scherza amaro Damiani - anche dal Papa, ma la fila era troppo lunga”. Il 3 aprile durante un nuovo incontro, Tim fa qualche passo indietro. “Timide aperture, viene erogata la voce premiale, anche se un anno è andato perduto, e tolta la solidarietà a una parte dei dipendenti”. Il 4 maggio ci sarà un nuovo presidio nazionale.

Come si vive e si lavora oggi in Telecom, che resta un gigante con decine di migliaia di addetti? Luca Damiani è stato assunto nel 2001, come interinale. Ne è passata di acqua sotto i ponti. “La fase complicata cominciò quando Tronchetti Provera comprò Telecom appesantendo i debiti. I primi anni del secolo sono stati difficili, nel 2010 è arrivata addirittura la solidarietà”. La Tim di Milano ha 4.300 addetti, in tutta la Lombardia si arriva a 6.300. Tim resta la quarta azienda del paese per dipendenti. Il futuro dell’azienda passa naturalmente per la rete in fibra. “Certo non ci stanno aiutando le decisioni della politica - riflette Damiani - Il governo Renzi ha voluto promuovere i progetti di Enel per le comunicazioni e così facendo ha creato un meccanismo perverso di concorrenza che non aiuta a fare passi avanti. Comunque noi abbiamo bisogno di una politica industriale”. La linea si interrompe, l’intervista è finita.

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