In “Il mondo al tempo dei quanti” (pagine 274, euro 22, Mimesis) Mario Agostinelli e Debora Rizzuto cercano possibili scenari di transizione verso un modello produttivo alternativo.
Riprendendo e sviluppando alcune intuizioni contenute in “Tempo e spazio nell’impresa postfordista” (1997), “Il mondo al tempo dei quanti” di Mario Agostinelli e Debora Rizzuto, attraverso una invidiabile lettura interdisciplinare delle rivoluzioni scientifiche che hanno contraddistinto il ‘900 (dalla relatività einsteiniana alla meccanica quantistica, dalla biologia molecolare alle neuroscienze), si interroga criticamente sulle drammatiche contraddizioni che la loro incorporazione nella logica dell’accumulazione capitalistica determina per il futuro dell’umanità.
Un libro ambizioso e militante. Da un lato, è mosso dall’obiettivo, tutt’altro che semplice per ragioni che discendono anche dalla organizzazione dei nostri sistemi formativi, di riunificare cultura scientifica e cultura umanistica. Dall’altro lato, disvelando l’asservimento delle tecnocrazie e di buona parte dei ceti politici agli imperativi del profitto, intende delineare gli scenari possibili di una transizione verso un modello produttivo alternativo a quello dell’usa e getta, consustanziale alle dinamiche dell’obsolescenza programmata.
D’altronde, se l’essenza del dominio del potere militare e industriale si configura emblematicamente nella caccia del nemico “alla velocità della luce”, mediante l’utilizzo di droni a guida laser, per Agostinelli e Rizzuto anche la detenzione e il trattamento di una massa impressionante di dati, da parte di un numero ristretto di multinazionali, comporta il rischio di una manipolazione senza eguali dei cittadini, considerati esclusivamente nella duplice veste di consumatori ed elettori, facilmente influenzabili dagli automatismi della programmazione algoritmica.
Pertanto questi processi determinano una concentrazione oligarchica del potere - sostanzialmente identificabile nell’èlite globale che a Davos s’interroga sul governo del mondo - mentre il capitale punta a riaffermare rapporti gerarchici e neofeudali su un mondo del lavoro messo in concorrenza tra le diverse aree geografiche. Altresì la colonizzazione del tempo di lavoro e di quello di vita presuppone una vera e propria mutazione antropologica delle soggettività, nonché mette sotto scacco le forme della democrazia rappresentativa, stante, come rileva il politologo Giorgio Galli nella sua brillante postfazione, il dominio planetario esercitato dalle “sessantatremila multinazionali” che tirano le fila della divisione internazionale del lavoro.
Ma se il contributo innovativo apportato dalle nuove scienze ha permesso di superare la visione meccanicista, determinista e sostanzialmente ancora positivista del mondo, allo stesso modo la presunta linearità dell’economicismo trionfante tende ad occultare la crescita delle diseguaglianze e delle povertà, gli eventi estremi indotti dai cambiamenti climatici, e la negazione di quella sfera dei diritti legati ad un lavoro dignitoso. Vi è insomma una divaricazione insanabile tra la tanto mitizzata crescita quantitativa del mondo delle merci, e i limiti fisici delle risorse non rinnovabili a nostra disposizione.
Per queste ragioni, pur nella consapevolezza dello stato dei rapporti di forza, Agostinelli e Rizzuto ritengono che, a partire dai concetti di entropia e cura della biosfera, possa essere rilanciata una critica di massa al pensiero unico, in grado di contrastare la regressione neopopulista e riconnettere le sinistre antiliberiste con la sensibilità di quei movimenti sociali che, nell’agosto del 2016, si sono ritrovati nel Forum sociale mondiale di Montreal.
La battaglia in direzione dello sviluppo decentrato delle energie rinnovabili può essere l’occasione per misurarsi con gli altri ambiti (i trasporti, le politiche urbanistiche e il consumo di suolo, ecc.) fondamentali per una ristrutturazione sociale dell’economia, nel legame inscindibile che lega territorio locale, la comunità che lo abita e i percorsi della partecipazione democratica, al fine di ristabilire conflittualmente i principi fondanti della sovranità popolare.
Mentre il movimento operaio, angustiato dall’incubo della disoccupazione inarrestabile per via della stagnazione secolare e dell’ulteriore calo delle occasioni di lavoro in seguito alla prospettata robotizzazione di una serie di mansioni operaie ed impiegatizie, deve urgentemente rimettere al centro delle politiche di contrattazione la riduzione dell’orario di lavoro, all’interno di una strategia complessiva della redistribuzione del lavoro che coinvolga l’insieme della società ed ogni attività lavorativa, comprese quelle riproduttive e di cura.