Impianto strategico e agire quotidiano: un divario da colmare - di Andrea Montagni

 

Dare priorità alla campagna referendaria e alla discussione in tutto il paese sulla Carta dei diritti del lavoro è una scelta giusta e interamente condivisibile. Risponde in modo autorevole e dinamico ad una domanda di dignità, di cambiamento e di ascolto che è presente fra tutti i settori del mondo del lavoro, di vecchia e nuova generazione, strutturato e precario.

Se volgo lo sguardo agli ultimi trent’anni, non ricordo un posizionamento politico e strategico della Cgil così di “sinistra”: abbandono delle politiche concertative, proposte salariali contrattuali che determinino aumenti delle retribuzioni reali, rifiuto della subalternità al quadro politico, giudizio su basi di classe sulle conseguenze della globalizzazione, e altro. L’unico elemento nel quale il sindacato ha fatto come i gamberi è nei meccanismi della vita associativa. Il pluralismo programmatico, che è stata una conquista fondamentale, sta lasciando il posto al pluralismo di strutture, ai gruppi informali e, di nuovo, al tentativo di definire destra e sinistra in base al riferimento informale, vero o presunto, alle correnti del Pd e della sinistra parlamentare.

Riflettendo forse in modo inevitabile la società e senza più alcun vincolo “ideologico” e valoriale alle spalle, anche nelle nostre fila si manifestano leaderismo carismatico, plebiscitarismo, insofferenza verso il dissenso, burocratizzazione del lavoro quotidiano. L’unanimismo di facciata che ne deriva, e che si riflette nel voto bulgaro con cui vengono prese tutte le decisioni, nasconde spesso contraddizioni che dovrebbero essere disvelate e affrontate per arrivare a sintesi e mediazioni condivise nel corpo largo dell’organizzazione. Altrimenti si trasformano in fuoco che cova sotto la cenere. C’è una destra silente che subisce la linea senza mai esplicitare apertamente il dissenso e aprire una discussione. Occorre riportare la discussione sul terreno del merito. Dirimente deve essere il confronto sulla strategia, sui contenuti e sulla prassi contrattuale, sul carattere democratico e pluralista di una organizzazione che deve davvero tornare a restituire centralità a delegati e delegate.

Se il tempo è segnato dalla campagna referendaria, la vita quotidiana della nostra categoria è incardinata in una difficilissima fase contrattuale, nella quale il fronte padronale si presenta ad un tempo compatto, per la volontà dei padroni di riprendersi i diritti e le tutele conquistate in anni e anni di contratti, e disarticolato per la frammentazione delle organizzazioni padronali che si fanno concorrenza e si scindono sulla base non della offerta di servizi migliori alle imprese, ma per l’“offerta” di condizioni contrattuali più basse ai lavoratori. L’esito, o per meglio dire lo stato di stallo, dei rinnovi contrattuali nel settore dei servizi, ci interroga.

Sempre più cresce – nonostante le nostre resistenze – il peso della contrattazione di secondo livello, peraltro non esigibile per la maggioranza dei lavoratori, e diminuisce il peso del contratto collettivo nazionale di lavoro. La sua potestà salariale è messa in discussione e tende a diventare una cornice più che nocciolo e polpa del sistema di tutele e di diritti contrattuali. Cresce il peso del welfare contrattuale e si allarga la sfera di quello aziendale. Il rischio che corriamo è che, per la stragrande maggioranza dei lavoratori, il Ccnl cessi di essere un punto di riferimento, una certezza, un punto di partenza nel riconoscimento del valore del lavoro e della professionalità. L’aspetto più rilevante è il divario crescente fra l’impianto strategico e la prassi quotidiana: di questo divario, e di come rimuoverlo, dobbiamo discutere.

La Filcams Cgil ha segnato un importante livello di partecipazione ed elaborazione. La distanza tra le idee, le aspirazioni, le buone prassi, i sentimenti che la Filcams suscita e muove in forma programmatica, e le scelte quotidiane che tutti noi facciamo nella contrattazione, nelle vertenze, nell’assistenza, è questione che va affrontata. Lavoro Società non ha soltanto il compito di rappresentare e organizzare un pezzo di storia, di prassi sindacale, di idee e di valori: la lotta di classe, la società di liberi ed uguali, il sindacato come organizzatore collettivo. Lavoro Società ha il compito di far sì che questa cultura trovi anche un riconoscimento organizzativo, e ha il dovere di rappresentare un punto di vista critico e innovativo, che parte dai lavoratori per tornare ai lavoratori.

Nel momento in cui la Cgil e la Filcams si caratterizzano nella vita politica e sociale italiana come l’unico riferimento organizzato e di massa del mondo del lavoro, non ci possiamo sottrarre dall’obbligo di contribuire alla determinazione di una nuova fase dell’azione sindacale che faccia i conti con la complessità.

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