Costituzione, uguaglianza, libertà di voto - di Gianni Ferrara

La Costituzione italiana ha un primato. E’ quello di aver subito e respinto, dalla sua entrata in vigore, due aggressioni. Una dalla destra berlusconiana e leghista nel 2006, l’altra dalla pseudo sinistra renziana dal 2014 fino al 4 dicembre scorso. Respingendo tutte e due le aggressioni, il corpo elettorale del popolo italiano, col difendere per due volte la Costituzione, per tutte e due le volte ne ha rinnovato la legittimazione. Cosa dedurne?

Certo il voto del 4 dicembre comprende opposizioni ulteriori a quella della legge Renzi-Boschi. Comprende la scellerata negazione del diritto del lavoro denominata jobs act, l’esemplare modello di legge incostituzionale sulla pubblica amministrazione, la sguaiata contraddizione tra titolo e contenuto della legge della “buona scuola”, la fallimentare politica economica del governo i cui effetti deflattivi erano stati esattamente percepiti. Opposizioni, tutte, connettibili all’obiettivo sotteso all’oggetto del referendum, quello di ridurre lo spazio del potere popolare diretto di eleggere i componenti degli organi legislativi.

Non è quindi tollerabile che venga offuscato o eluso il significato politico del voto e la sua efficacia normativa. Va riconosciuto invece che, fugando ogni disegno più o meno larvato della sua passivizzazione, il corpo elettorale abbia respinto la riduzione o la compressione del suo potere, sovrano ed esclusivo, di eleggere chi può modificare, incrementare, arricchire o deprimere la condizione umana in Italia, ed abbia rivendicato il suo intero ed incomprimibile diritto di farsi rappresentare laddove di tale condizione si tratta, si discute e si decide. Abbia posto così la questione della qualità dello strumento rappresentativo del quale disporre, della forza giuridica e politica del voto e quindi degli effetti, non manipolabili, non deviabili del suo esercizio. Effetti eguali, limitati solo dalla loro proiezione e conseguente recezione nella composizione numerica degli organi della rappresentanza.

Tornano invece a riproporsi le pretese che da venti e più anni hanno corrotto la rappresentanza parlamentare, rendendola insincera, falsa, bacata, non credibile, indebita o strozzata. Indebita all’elettore “premiato”, strozzata all’elettore “mutilato” o “derubato”. Il totem della governabilità, che il liberismo ha imposto per stroncare le domande della democrazia incompatibili con l’economia capitalistica, ha delegittimato l’istituzione fondante della democrazia moderna.

La contorsione imposta da tale totem ha rotto il rapporto di comprensione, di affidamento tra rappresentati e rappresentanti, ha dissolto la credibilità rappresentativa delle istituzioni parlamentari e quindi del carattere rappresentativo dello Stato, la forma moderna di democrazia. Ha generato contraddizioni macroscopiche. Si pensi al cosiddetto “premio di maggioranza”. È certamente per obbedire al tabù della governabilità che, sbagliando e gravemente, la Corte Costituzionale non lo ha annullato. Ma in tal modo, il 40% dei voti che giustamente non sono stati sufficienti per approvare la legge che avrebbe sconvolto l’ordinamento parlamentare della Repubblica, potrebbe, allo stesso o un qualsiasi altro 40% di voti, risultare sufficiente per formare una maggioranza parlamentare, un legislatore per cinque anni.

È incredibile tale contraddizione con i risultati del voto del 4 dicembre, che invece della rappresentanza e della sua corretta configurazione legislativa ha trattato, sfiduciando chi ha addirittura impersonato il regime dell’uomo solo al potere. Confermando l’elettività diretta delle istituzioni rappresentative, il referendum ha infatti riaffermato l’autenticità della democrazia repubblicana, l’intangibilità dell’estensione del campo di esercizio della sovranità popolare.

È una conferma che rinnova ed esalta la forma di stato e quella di governo volute dal Costituente. Ribadisce l’una e l’altra, escludendo quindi la legittimità di ogni compressione e riduzione dell’una, di ogni torsione e manipolazione dell’altra. Ripudia quindi i sistemi elettorali che escludono dalla rappresentanza le minoranze in ciascuna delle sedi in cui si articola il corpo elettorale. Diffida dai sistemi maggioritari, uninominali o plurinominali che siano, e quelli premiali di minoranze reali. Impone la ricostruzione della rappresentanza politica, perché base della democrazia che identifica la Repubblica, condizione indefettibile per rinnovare la legittimazione delle istituzioni parlamentari. La impone prescrivendo l’adozione del sistema proporzionale di elezione. Perché proporzione è eguaglianza, è giustizia, è libertà di voto, è pari dignità sociale. È rispetto ed applicazione dei principi fondanti della Repubblica.

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