Hanno fatto il passo più lungo della gamba, le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: almeno 600 esuberi, la chiusura di tredici negozi, la cessione di altri sei, il recesso del contratto integrativo aziendale. La coop sei tu, chi può tagliare di più, parafrasando la fortunata campagna pubblicitaria. Unicoop Tirreno è la pecora nera nel gregge Coop. Che la storica cooperativa, nata nel 1971 a Piombino come spaccio dell’Ilva, avesse problemi di galleggiamento era cosa nota, ma che rischiasse di affondare come il Titanic in pochi se lo sarebbero aspettato.
Lavoratori e delegati sindacali si sono trovati sul tavolo un piano industriale drammatico, una cura da cavallo. Ma il cavallo (cioè i lavoratori) non ha alcuna intenzione di subirla. I sindacati precisano che degli oltre 600 esuberi (indicati nel piano come “481 full time equivalenti”), 160 saranno alla sede centrale di Vignale-Riotorto, 95 nella rete di vendita fra Toscana e Lazio (oltre a due negozi in Campania), e gli altri fra i tredici negozi chiusi e i sei ceduti (ancora non è chiaro a chi).
Secondo stime sindacali, Unicoop Tirreno ha salutato il 2016 con un rosso di circa 25milioni: una voragine al termine di sei annate sempre chiuse con il segno meno. E tutto questo nonostante il soccorso del sistema Coop, sotto forma di 170 milioni per rafforzare il patrimonio. Come effetto collaterale della crisi di Unicoop Tirreno, dovrà essere drasticamente ridotta perfino l’attività para-bancaria di gestione del risparmio dei soci: secondo le recenti disposizioni di Bankitalia, per rispettare il rapporto con il patrimonio, i depositi dovranno scendere da 930 a 500 milioni di euro entro la fine del 2019.
Pioggia sul bagnato. “I 481 full time equivalenti, in un contesto lavorativo in cui la maggior parte degli addetti è part time, può significare fino a 600 persone che rimarranno senza lavoro”, sottolinea Paolo Lorenzi. Lui conosce l’argomento, è delegato sindacale per la Filcams Cgil, e lavora al punto vendita Unicoop Tirreno di Viareggio - forte di sessanta addetti - dal 2009. Prima ancora, era il 2003, prestava servizio all’Ipercoop di Livorno. Un delegato esperto, testimone diretto della parabola della cooperativa di consumo piombinese. “Si sapeva che le cose non andavano benissimo, ma la cifra annunciata degli esuberi è stato un fulmine a ciel sereno”.
Già 600 sono tantissimi, e il conto non si ferma qui. Quanti sono gli stagionali che nel periodo estivo venivano chiamati anno dopo anno presso i negozi delle località turistiche? Quanti sono i lavoratori interinali che venivano utilizzati per coprire i picchi lavorativi festivi? Tutte persone che speravano, e sono state illuse per anni, di aver trovato un approdo sicuro tra le braccia della grande cooperativa.
Sindacati e lavoratori hanno già annunciato un pacchetto di scioperi. “Stiamo ancora discutendo come organizzare la nostra protesta. Le assemblee sono partecipatissime”, racconta Lorenzi. “Ai licenziamenti si aggiunge la cancellazione del contratto integrativo. Una cosa del genere non era mai successa. Abbiamo paura che quanto sta accadendo a noi possa fare da testa di ponte per le altre aziende della galassia Coop”. Fra queste naturalmente c’è chi naviga in acque decisamente più tranquille, come ad esempio Unicoop Firenze.
Unicoop Tirreno è intimamente legata alla costa toscana, lì dove è nata nel secondo dopoguerra (Val di Cornia) e si è sviluppata (province di Livorno, Grosseto, Lucca, Massa Carrara). Le cifre parlano chiaro: 116 tagli di posti full time equivalenti (fte) arriveranno dalle cessioni di 8 negozi, 110 dalle chiusure di 13 negozi, 160 dal personale della sede di Riotorto, e 95 ulteriori esuberi nella rete vendita. Circa il 10% di tutta la forza lavoro della cooperativa. “Il piano industriale avrà un impatto negativo su tutto il territorio. I sindacati non hanno alcuna intenzione di avvallare i tagli al personale. Non è possibile che siano solo i lavoratori a pagare anni e anni di strategie commerciali sbagliate”, dice ancora Lorenzi. “Gran parte di noi ha investito nell’azienda attraverso il prestito sociale, la crisi ci colpisce ancora di più perché siamo parte di questa azienda”.
Lorenzi spiega quanto il lavoro degli addetti coop nei punti vendita sia molto ‘fisico’. Dal carico e scarico delle merci, all’uso delle attrezzature per i reparti gastronomia, pescheria, macelleria (affettatrici, coltelli), fino ai turni di cassa che si susseguono senza soluzione di continuità. E il servizio ai clienti va dato, non ci possono essere buchi negli organici. “Questo piano è impraticabile. Il nostro no è motivato e deciso, siamo compatti”.