Tra Pil e Bes… l’Italia arranca - di Leopoldo Tartaglia

 

L’Istat ha presentato la quarta edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes). Il Bes è stato sviluppato dall’Istat a partire dal 2010, dopo un ampio e articolato dibattito – avviato da un gruppo di lavoro del Cnel - che ha coinvolto istituzioni, mondo della ricerca e società civile. Il quadro di misurazioni che ne è scaturito è orientato a supportare il dibattito pubblico e le scelte politiche, obiettivo rafforzato dalla nuova legge di bilancio, che prevede di misurare l’efficacia delle politiche pubbliche anche attraverso i loro effetti sugli indicatori di benessere, andando oltre il semplice dato economico rappresentato dal Pil. A partire dal 2017, governo e Parlamento saranno chiamati a valutare, insieme al tradizionale Documento di programmazione economico-finanziaria, il Def, proprio gli indicatori del benessere equo e sostenibile.

I centrotrenta indicatori del Bes sono articolati in dodici domìni: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi. Il rapporto propone anche misure sintetiche (indicatori compositi) di alcuni domìni che consentono l’aggregazione in un unico valore dei singoli indicatori.

Nel periodo 2015-16, gli indicatori compositi di soddisfazione per la vita, occupazione, istruzione, salute e ambiente danno segnali di miglioramento rispetto al 2013, che aveva costituito il punto più negativo delle precedenti rilevazioni. Una sostanziale stabilità si rileva per condizioni economiche minime, qualità del lavoro, relazioni sociali e reddito. Dal confronto con la situazione del 2010 emergono trend positivi per salute, ambiente, istruzione, e un recupero per l’occupazione; livelli lievemente inferiori si registrano per reddito, relazioni sociali e soddisfazione per la vita. I divari sono invece ancora rilevanti per condizioni economiche minime e qualità del lavoro.

Il quadro che emerge rispetto al 2013 è quindi di miglioramento o stabilità; il recupero è invece ancora parziale nel confronto con il 2010. E si conferma, per certi versi si amplia, il gap tra centro-nord e Mezzogiorno. Nell’ultimo anno, il nord e il centro registrano un miglioramento per ambiente, salute e istruzione, mentre negli altri domìni si è tornati vicini ai livelli del 2010, ad eccezione della qualità del lavoro. Nel Mezzogiorno permangono forti divari rispetto al 2010 per condizioni economiche minime, qualità del lavoro e soddisfazione per la vita, mentre si rilevano miglioramenti in tutti i domìni nel confronto con il 2013.

Non è possibile dar conto dell’insieme delle misurazioni. Ci limitiamo, quindi, a sottolineare alcuni aspetti, che confermano la criticità della situazione del nostro paese. L’Italia si conferma uno tra i paesi più longevi d’Europa, anche se la qualità della sopravvivenza (misurata con la speranza di vita senza limitazioni a 65 anni), resta sotto la media europea. Inoltre, nel 2015 la speranza di vita alla nascita è scesa da 82,6 a 82,3 anni.

Per quanto riguarda l’istruzione, l’Italia è riuscita a ridurre, ma non a colmare, il divario accumulato nei confronti degli altri paesi europei. La quota di 25-64enni con almeno il diploma è di oltre 16 punti inferiore alle media europea così come il tasso d’istruzione terziaria dei giovani 30-34enni è inferiore di oltre 13 punti e ancora molto lontano dall’obiettivo previsto da Europa 2020.

Per quanto riguarda l’occupazione, continuano ad ampliarsi le differenze intergenerazionali: il tasso di occupazione aumenta in modo sostenuto soltanto per gli ultra cinquantacinquenni (+2%), che tardano a uscire dal mercato del lavoro a seguito della legge Fornero.

I presunti segnali positivi sull’economia non coinvolgono quanti vivono in condizioni di forte disagio economico. Nel 2015 la quota di persone a rischio di povertà sale al 19,9%, dal 19,4% del 2014, e la povertà assoluta cresce a quota 7,6%, pari a 4 milioni e 598 mila persone. Il disagio economico è legato alla difficoltà a entrare e restare nel mercato del lavoro.

Permangono forti nel paese le differenze territoriali nei livelli di benessere economico. Nel Mezzogiorno il reddito medio pro-capite disponibile delle famiglie consumatrici è il 63% di quello delle famiglie residenti nel nord ed è maggiore la disuguaglianza del reddito. Il Mezzogiorno è anche l’area del paese con i livelli di povertà più elevati: il rischio di povertà coinvolge il 34% dei residenti, una quota tripla rispetto al nord.

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