*referente nazionale di Lavoro Società per una Cgil unita e plurale
Grazie, compagne e compagni, di essere qui in tante e in tanti, nonostante il boicottaggio e i condizionamenti messi in atto. Grazie della vostra partecipazione a questa significativa iniziativa toscana, da me convocata in quanto referente nazionale dell’aggregazione di sinistra sindacale di maggioranza, Lavoro Società per una CGIL unita e plurale. L’ho convocata perché prima e dopo il vostro congresso regionale confederale non sono riuscito, nonostante i tentativi fatti, ad avere un contatto e un chiarimento con il vostro precedente referente regionale. Grazie in particolare a Tania, Andrea, Alessio e Luca che hanno garantito, non senza problemi e tensioni, che si realizzasse questo incontro.
Care compagne, cari compagni, riprendiamo da dove eravamo rimasti.
Cioè dalla riunione del coordinamento regionale di Lavoro Società per una CGIL unita e plurale che avete svolto il 12 dicembre scorso presso la Società di Mutuo Soccorso, con la relazione dell’allora coordinatore-referente regionale del nostro e vostro collettivo.
Una riunione che, per alcuni, sembra non esserci mai stata e alla quale, purtroppo, non ho potuto partecipare. So che in quella occasione si è collettivamente discusso e confermato il valore della presenza di una sinistra sindacale confederale di maggioranza anche in Toscana, come patrimonio imprescindibile dell’organizzazione. Si sono confermati la volontà e il bisogno di rivitalizzare e rinvigorire l’esperienza organizzata di Lavoro Società, a livello nazionale come nella realtà regionale, confermando la necessità, a prescindere da chi fosse stato eletto segretario generale della CGIL Toscana, della presenza plurale della sinistra sindacale nella futura segreteria, essendo scaduto il mandato del segretario che ci rappresentava come sinistra sindacale.
Le cose, purtroppo, non sono andate come avremmo sperato e voluto, nonostante fossimo contenti dell’elezione a segretario generale della CGIL di un compagno storico della sinistra sindacale. Va preso atto che anche tra noi va mantenuta costante e coerente la lotta sui valori e sull’etica, senza dimenticare da dove veniamo, e la capacità di arginare collettivamente la burocratizzazione e la regressione culturale da cui nessuno è individualmente immune.
Per noi in CGIL la lotta politica e le diversità di idee non devono mai tracimare nello scontro personale, in un abuso di potere, in ricatto o in mancanza di rispetto verso la dignità della persona. I nemici sono fuori e non dentro la CGIL.
Va rispettato quanto si legge nell’articolo 8 del Codice etico che obbliga tutti, donne e uomini della CGIL e in particolare i segretari, “a contrastare qualsivoglia attività lesiva della dignità umana” rifiutando “ogni comportamento con connotazioni aggressive, ostili, denigratorie, persecutorie e vessative, e assicurando piena protezione e tutela della o delle vittime...”.
Ora mi preme fare qualche riflessione nel merito politico-sindacale per portare un contributo a questo confronto collettivo.
Prima di tutto la Pace, un no deciso alla guerra per procura tra imperi, un no all’aumento delle spese militari e un no all’invio continuo di armi da parte dell’Italia e di un’Unione Europea succube, subalterna agli interessi degli Usa e della Nato. Si cerca di rimuovere la storia e di negare le ragioni economiche e di potere geopolitico, di controllo dei mari e delle vie commerciali che sono alla base di questa folle guerra imperiale camuffata, come sempre, da difesa della democrazia e dei valori occidentali. Persino il 9 maggio ‘45, giorno della vittoria sul nazifascismo, è stato usato per fomentare odio e fare propaganda rimuovendo il ruolo dell’Unione Sovietica e il sacrificio di 22 milioni di morti per fermare l’avanzata del nazismo. Siamo in presenza di politica lobbistica, finanziaria e industriale elitaria, cinica, irresponsabile e criminale che persegue la guerra, la alimenta e si arricchisce, costruisce poteri e nuovi confini, distruggendo territori e popolazioni e ogni cultura di solidarietà e di pietà umana.
Lascia sgomenti il voto del Parlamento europeo, sostenuto purtroppo anche dal Pd e dal gruppo dei socialisti europei, che converte parte dei fondi del PNRR a finanziare la fabbricazione di munizioni e armi per l’Ucraina, per alimentare la guerra in atto. Un’Unione Europea che sarà vittima essa stessa di questa guerra - priva di una politica estera e incapace di un’azione diplomatica di Pace - per seguire gli interessi di Usa e Nato. Sulla guerra, l’invio di armi e l’aumento delle spese militari non si transige, per noi è questione dirimente sulla quale misurare la politica e i partititi che si dicono democratici e di sinistra.
Siamo in guerra senza saperlo, senza averlo deciso, senza essere informati da un’informazione sciatta, servile e poco seria. Siamo alla retorica e alla propaganda. C’è il rischio concreto di una pericolosissima escalation. E come in passato siamo ai distinguo, ci sono le bombe buone e le bombe cattive, ci sono i civili morti inevitabili, giustificati o rimossi e quelli retoricamente da utilizzare per propaganda. Persino sui profughi, sugli immigrati, su chi scappa da guerre e da miserie si usano i distinguo, le convenienze del tu si, tu no. Questa è la cultura occidentale, questi i valori che vogliamo difendere con la guerra. La guerra contro i Curdi da parte di uno Stato dittatoriale come la Turchia, membro della Nato, è oscurata. Le bombe criminali su Gaza, sulle abitazioni civili, i bambini e le donne uccisi dai raid israeliani non trovano spazio nell’informazione democratica, e non trovano solidarietà e denuncia nel governo e nei partiti che lo sorreggono. Purtroppo non trovano spazio neppure nel campo dei bellicisti democratici e nelle denunce del nostro Capo dello Stato che, non va dimenticato, nel marzo del ‘91, da Vicepresidente del Consiglio del governo D’Alema, fu favorevole a entrare in guerra in Jugoslavia a fianco della Nato e senza il consenso dell’Onu. I “nostri” F35 bombardarono ospedali e abitazioni di Belgrado, facendo strage di civili.
Allora noi della sinistra sindacale scendemmo in piazza mentre la CGIL di Sergio Cofferati assumeva una posizione riassunta nella “contingente necessità”, che giustificava la guerra. Per questo abbiamo il diritto di ricordare e il dovere di non dimenticare. Nulla.
Furono gli anni della concertazione a perdere, dei salari contenuti, dei diritti negati. Furono gli anni di una dura contestazione di piazza e nei luoghi di lavoro al sindacato e alla sua politica. Furono gli anni in cui si sviluppò la sinistra sindacale confederale, gli anni del Movimento dei Consigli e degli autoconvocati. La CGIL, sotto la spinta proveniente dai luoghi di lavoro, dal protagonismo delle delegate e dei delegati eletti nei Consigli di fabbrica e poi nelle Rsu che nacquero in quegli anni, seppe cambiare e rinnovare la sua politica contrattuale e organizzativa. Noi siamo parte integrante e ricchezza plurale di questa CGIL.
Siamo oggi un paese governato dalla peggiore destra.
Le mobilitazioni generali di queste settimane di CGIL CISL UIL contro le scelte e le non scelte di un governo di destra, liberista, classista e bellicista vanno coerentemente continuate al fine di conquistare politicamente e socialmente un ampio fronte sociale nel paese e costruire in tempi utili le condizioni per la proclamazione dello sciopero generale. L’unità sindacale è un bene assoluto, ma non può essere la gabbia nella quale rinchiudere il bisogno di una risposta coerente e di continuità, come richiesto dalla parte più cosciente e sindacalizzata che si è mobilitata in questi mesi.
Lo sciopero generale non è la panacea risolutiva dello scontro generale in atto, ma un passaggio obbligato per rimettere al centro quel lavoro che storicamente è stato condizione per la cittadinanza, per la dignità della persona, per l’integrazione e il riscatto sociale. La classe lavoratrice riprenda il ruolo dirigente per la conquista di quel cambiamento radicale, economico, sociale e politico, di cui abbiamo bisogno.
Abbiamo di fronte una destra di governo pericolosa, che procederà senza ostacoli utilizzando la “dittatura parlamentare” prescindendo dalle opposizioni politiche. Non è più tempo di compromessi, di logiche consociative e governiste. L’opposizione politica faccia l’opposizione. Questa è una destra di governo che occupa il potere, persegue la logica neocorporativa e liberista; separa il lavoro dai diritti, il salario dalla prestazione lavorativa, il lavoro dalla salute, il capitale dal lavoro. Non a caso la Presidente del Consiglio ha come credo ideologico il “non va disturbato chi produce”. Un governo impregnato di retorica e di propaganda, forte con i deboli e debole con i forti. Risponde a Confindustria, alle lobby, agli interessi forti e particolari.
Un governo bellicista di “legge e ordine” che amplia i decreti “sicurezza” di Salvini per reprimere i giovani, partecipanti ai rave o ambientalisti, per intimidire ogni lotta radicale di opposizione, chi manifesta in difesa dei diritti sociali e civili, per il lavoro e una scuola migliore. È un governo autoritario di “pericolosità pubblica” a cui è stato consentito di esercitare una “dittatura della maggioranza”, lontano dai principi della Costituzione antifascista, per la prima volta con una donna Presidente del Consiglio che però, per storia e cultura è postfascista, incapace di prendere le distanze dal ventennio, connivente con la partecipazione della seconda carica dello Stato alle celebrazioni della nascita del MSI. Tentano in ogni modo e con tutti gli strumenti a disposizione di riscrivere la storia del paese, di farci vergognare di essere e di dirci di sinistra, socialisti e comunisti, mentre loro non si vergognano di definirsi e di essere fascisti, nella loro sottocultura autoritaria e repressiva, nell’oscurantismo sessista contro la libertà delle donne, nella violenza classista contro i più deboli, gli immigrati, i poveri. Contro il mondo del lavoro e le confederazioni sindacali.
Possiamo dire che la politica economica e sociale del governo Meloni non è solo liberal-nazionale, ma si richiama alle politiche del primo governo Mussolini, artefice della tassazione regressiva, dell’abolizione delle tasse sui profitti e della tassa di successione. Decurtò la spesa sociale e portò avanti la più grande privatizzazione del suo tempo, licenziò 60.000 dipendenti pubblici, alzò i tassi d’interesse. Infine, abolì la festa del 1° maggio, il diritto di sciopero, la libertà di stampa e di pensiero, represse i sindacati e incendiò le Camere del lavoro e i circoli operai, compresse i salari, abolì la democrazia parlamentare e svuotò il Parlamento. Quello di Mussolini fu un governo apprezzato dai poteri finanziari a livello internazionale per la sua politica classista e antioperaia. La presidente Meloni si limita, oggi, a sbeffeggiare e insultare il Primo maggio, piega la stampa e occupa i posti strategici di potere, favorisce i sindacati di comodo e corporativi, di destra, alimenta la divisione del mondo sindacale e del lavoro e cerca di sedurre una CISL sempre pronta a sedersi al tavolo del potere e adottare la politica consociativa, rompendo l’unità sindacale.
È un governo che vuole il presidenzialismo e l’autonomia differenziata, senza confronto parlamentare e senza un referendum popolare: una revisione costituzionale disgregativa dell’unità del paese e della democrazia parlamentare, che ne snatura l’impianto. La Costituzione antifascista, le istituzioni, la democrazia parlamentare e rappresentativa vanno protette; esse si fondano sullo Stato di diritto costruito su pesi e contrappesi, sulla suddivisione fra i poteri, sull’informazione e la libertà di stampa. Si vuole la secessione dei ricchi. Le Regioni dei “governatori” diverranno ancora di più monarchie, feudi con il monopolio sulla sanità e l’istruzione, un tempo primazie del sistema pubblico nazionale. La CGIL, come in passato, deve essere protagonista nel respingere questo disegno reazionario; la questione istituzionale è questione sociale.
La Costituzione è stata per lungo tempo svilita, non applicata dai vari governi di questi anni. A partire dal diritto al lavoro e al servizio pubblico, dall’eguaglianza di genere e di ceto e dalla progressività fiscale, sino all’antifascismo e al ripudio della guerra.
Lo scontro è di sistema e serve per questo continuità, organizzazione, coscienza diffusa nella mobilitazione, vanno cambiati i rapporti di forza tra capitale e lavoro, tra sfruttatori e sfruttati, tra padroni e lavoratori.
Nello scontro generale va preservata la nostra autonomia dal governo e dai partiti, mantenendo la discriminante sul merito sindacale, esercitando sempre la libertà di giudizio e di azione, consapevoli dei limiti e dei ritardi accumulati e delle difficoltà che abbiamo di fronte. La realtà non va accettata ma cambiata, allargando il fronte dell’opposizione sociale e politica che innerva la società e il paese. Il sindacato confederale non può fermarsi se non conquista le sue rivendicazioni, se non vuole perdere la credibilità e il consenso conquistato. Non può farlo la CGIL, nella quale in molti si sono riconosciuti e si riconoscono e alla quale in tanti affidano le loro speranze per un lavoro e una vita migliore.
Noi non dimentichiamo che l’ingiustizia, la precarietà, le tante diseguaglianze di ceto e di genere, l’attacco ai diritti del lavoro, i tagli alla sanità e alla scuola pubblica, la mancata applicazione della Costituzione antifascista, a partire dalla guerra, non sono di oggi. Sono le conseguenze di una politica classista e liberista fatta dai governi di centrodestra e di centrosinistra, dai governi” tecnici”, tecnocratici e liberisti, da Ciampi a Dini, da Monti a Draghi e da leggi come la Treu e la Biagi, dai decreti Poletti e dal Jobs act che, tra altro, ha cancellato l’articolo 18, il pilastro della democrazia nei luoghi di lavoro che andrebbe ripristinato. Per questo dovremo accompagnare la mobilitazione generale, categoriale, territoriale e sociale con una lotta culturale fondata sui valori, con lo sguardo oltre i nostri confini e con una proposta, una visione generale.
Per questo c’è ancora bisogno di una più forte e rappresentativa sinistra sindacale per reggere il duro scontro sociale e politico e anche perché la lotta politico-sindacale all’interno della CGIL è sempre presente e si ravviva nelle fasi difficili e di scontro. Inoltre, l’autonomia di azione e di proposta della nostra CGIL potrebbe essere messa a dura prova dal nuovo corso del Pd, dopo l’elezione della sua segretaria. C’è da aggiungere che per i meccanismi perversi esistenti in CGIL, nelle burocrazie e nelle cordate di potere il dopo Landini è già in corso. Lo è sia a livello nazionale che regionale e delle categorie nazionali.
Care compagne, cari compagni,
se oggi siamo ancora qui è perché la fine o la continuità di un’esperienza storica di una sinistra sindacale confederale come la nostra la decidono collettivamente le compagne e i compagni che l’hanno costruita, coloro che hanno scelto di farne parte con impegno e militanza.
La decidete voi oggi. Decidete liberamente se mantenere e rafforzare la presenza della sinistra sindacale in Toscana, dopo la costituzione nazionale ufficiale dell’aggregazione avvenuta nell’assemblea generale CGIL del 13 aprile, accompagnata da un documento politico e sottoscritta da 14 dirigenti nazionali.
Se in Toscana Lavoro Società deve esistere o meno, se è stata sciolta o meno non lo decido io, non lo decide un referente, non lo decide un singolo compagno, perché nella nostra sinistra sindacale, per storia e cultura, non esiste un proprietario e nessun uomo o donna soli al comando. Siamo altra cosa e abbiamo un orgoglio e un tratto distintivo che ci identifica.
Facciamo i delegati, i funzionari sindacali per scelta, passione, valore e non per convenienza. Fare il sindacalista non è un lavoro come tanti. Appartenere alla sinistra sindacale non è stato mai facile in un’organizzazione di massa e burocratica come la CGIL, ma, di regola e per la maggior parte delle compagne e dei compagni, molti storicamente delegati e provenienti dai posti di lavoro, la sinistra sindacale organizzata, da Alternativa sindacale, Cambiare Rotta ad oggi, non è stata un treno su cui salire e scendere secondo convenienza e opportunismo. In Lavoro Società deve prevalere sempre il noi e non l’io.
Noi rifuggiamo dalla burocrazia e dagli scontri finalizzati solo al potere, alla carica, ma pretendiamo riconoscimento e rispetto per ciò che siamo, per ciò che facciamo coerentemente come militanti della CGIL. Saremo fermi nel respingere e denunciare ogni tentativo di discriminazione, di isolamento, di disconoscimento, di ricatto e di mobbing nei nostri confronti, da parte di chi esercita la sua carica a tempo con senso padronale e di potere.
Non è tollerabile, in una CGIL che professa la sua democrazia e la sua pluralità, che ha uno Statuto democratico a difesa e salvaguardia verso ogni abuso di potere. Ma soprattutto ha sul piano dei valori e della convivenza un corposo e pregnante codice etico, spesso dimenticato o sconosciuto.
Siamo parte integrante, pensiero critico e propositivo e risorsa della CGIL, che non è proprietà di qualcuno ma delle iscritte e degli iscritti; lo ricordiamo se c’è chi ha perso la memoria, la dignità e la coerenza rispetto alla sua storia.
Siamo radicali ma non minoritari, siamo per andare alla radice del problema per estirparlo, perché crediamo ancora in un futuro migliore e diverso per noi e per le future generazioni. Pensiamo ancora che sinistra e destra non siano uguali, che il valore della solidarietà e dell’eguaglianza siano attuali, e che la lotta di classe sia ben presente nella società e nei rapporti sociali e di lavoro.
Pensiamo che occorra cambiare il paradigma e il sistema di accumulazione delle ricchezze, il ritorno dello Stato in economia, che la nostra Costituzione antifascista vada difesa e applicata.
Siamo per riaffermare ed esercitare il valore del conflitto, dello sciopero e della protesta come motori del cambiamento. Il patrimonio di valori e principi costituzionali, la storia della lotta internazionale del movimento operaio, le conquiste storiche di questo paese sono la nostra bussola di orientamento.
Non vogliamo esser solo custodi della memoria ma riaffermare l’attualità dell’economia politica e della lotta di classe come strumenti teorici per l’azione, per il cambiamento, e il socialismo come una possibile prospettiva del movimento sindacale e della sinistra politica.
La sinistra sindacale, noi, non è un luogo effimero di anime belle, ma un libero luogo di militanza, di elaborazione di idee e di valori.
Siamo per l’utopia concreta del “possibile”, che non è fuga nell’irreale ma un orizzonte per le possibilità oggettive insite nel reale e nella lotta per la realizzazione di ciò in cui crediamo. È un messaggio di speranza e non di rassegnazione alla realtà, al sistema capitalistico, allo sfruttamento delle persone e del pianeta. Almeno questa era la teoria del filosofo marxista tedesco Ernst Bloch.
Infine, non siamo e non vogliamo essere solo la CGIL della denuncia, dell’analisi, ma del conflitto, della proposta, della visione e del cambiamento. Della speranza, con lo sguardo rivolto oltre il proprio ombelico.
E non abbiamo bisogno di una “armocromista” per scegliere il colore da indossare; il colore che ci portiamo addosso e nel cuore è il rosso, il colore della lotta e del riscatto, della giustizia. Il colore che sventola con le nostre bandiere ed è racchiuso nel nostro quadrato rosso. Un colore che per noi va bene in ogni stagione, su ogni compagna e su ogni compagno.
Vogliamo insieme costruire consapevolezza, cultura, militanza e organizzazione per tenere in campo la mobilitazione del mondo del lavoro, dei pensionati, degli studenti, delle donne e delle giovani generazioni in un tempo che non sarà breve né facile.
Oggi voi decidete se riconoscervi nel percorso nazionale di Lavoro Società per una Cgil unita e plurale, se costruire in Toscana un nuovo percorso collettivo di sinistra sindacale organizzata di maggioranza, se darvi una organizzazione e una struttura di confronto. Se deciderete di continuare l’esperienza regionale, come spero, alla fine dei vostri interventi sarà mio dovere, nelle conclusioni dei lavori, indicarvi, proporvi e sottoporre al vostro voto il nome di chi sarà il referente o di chi saranno i referenti di questa rinnovata aggregazione.
La CGIL ha bisogno di unità e del suo pluralismo, ha bisogno della sinistra sindacale organizzata. Il paese ha bisogno di una CGIL forte, coerente, unita e plurale.
Grazie per l’ascolto.