Il Ddl sicurezza, approvato dal Consiglio dei ministri il 16 novembre, in continuità con i precedenti decreti “rave” e “Caivano”, descrive la deriva giustizialista e securitaria sempre più marcata di questo governo, e rappresenta un ulteriore attacco ai principi costituzionali, attacco che pare ancora sottovalutato anche da parte dell’opposizione.
Il Ddl interviene in materia di sicurezza pubblica, con provvedimenti che introducono nuovi reati, ed inaspriscono le pene già previste, pensando di risolvere solo con la repressione ogni conflitto sociale, senza mettere in campo nessuno strumento di prevenzione, senza pensare a nessun intervento che miri all’inclusione ed alla giustizia sociale, ai grandi temi dell’oggi, la povertà, il lavoro, l’istruzione, l’emergenza abitativa, ma mirando anzi a sopprimere ogni forma di dissenso. Emblematico è l’inasprimento delle pene per chi impedisce la libera circolazione in caso di sciopero.
Gli articoli riservati al carcere meritano una riflessione particolare, a partire da come viene normato il reato di rivolta in carcere, già previsto e perseguito, ma qui integrato dalle condotte inoffensive e di resistenza passiva. In buona sostanza, sarà punita ogni forma di critica e di rivendicazione di diritti, cioè comportamenti assolutamente inoffensivi, volti magari a porre all’attenzione condizioni di vita e di trattamento che spesso sono disumane.
Una persona che batte le sbarre per farsi ascoltare rischia da 2 a 8 anni di ulteriore condanna. Ricordiamo che l’Italia è stata oggetto di sanzioni da parte della Corte europea dei diritti umani (Cedu) per trattamenti inumani e degradanti, e come anche la commissione di indagine istituita nel 2020, proprio a seguito delle rivolte scoppiate a fronte dell’emergenza Covid, abbia concluso che la risposta punitiva era la più inadeguata per prevenire questi comportamenti.
Viene da pensare che il provvedimento sia in qualche modo anche l’apripista per estendere il regime sanzionatorio a tutte le forme di manifestazione di dissenso, anche pacifiche. Del resto, questo governo già ci aveva provato con il decreto “rave”, e continua a farlo perseguendo le manifestazioni pacifiche come quelle dei movimenti per l’ambiente. Oggi si rischia venga criminalizzata anche l’obiezione di coscienza.
Altrettanto grave è l’aver cancellato il differimento obbligatorio della pena per le donne incinte o madri di bambini di età inferiore a un anno. Il differimento della pena era volto a tutelare la maternità ed i diritti del bambino. Oggi queste tutele vengono messe in discussione, ed il fatto che la detenzione avvenga negli Icam (Istituti a custodia attenuata) nulla toglie alla gravità di questa disposizione. Gli Icam sono solo quattro in Italia, e sono carceri a tutti gli effetti. Abbiamo ripetutamente sostenuto la necessità di istituire finalmente le case famiglia per madri con bambini al seguito, già previste per legge, ma mai realizzate: luoghi dove le donne possano vivere dignitosamente la genitorialità e i bambini non siano costretti, detenuti senza colpa, a subire il regime carcerario. Nella precedente legislatura era stata presentata una proposta di legge, che abbiamo sostenuto, per istituirne una in ogni regione, ritirata a causa degli emendamenti presentati.
Infine si stabilisce un prelievo forzose sulle retribuzioni, già assolutamente basse, dei lavoratori ristretti, per finanziare quel fondo per le vittime di reati mafiosi, che questo stesso governo ha tagliato con la legge di bilancio.
Si pensa di risolvere ogni problema soltanto con il diritto penale, con l’introduzione di nuovi reati, con pene sempre più severe, nonostante tutte le evidenze dimostrino che non è con l’inasprimento delle pene che si prevengono i reati. Si insegue il mantra della “certezza della pena”, per rincorrere un facile consenso elettorale, da parte di persone sempre più insicure e più povere, invece di dare risposte ai problemi veri del paese. Tutti i dati dimostrano, da anni, che non è con l’inasprimento delle pene che si prevengono i reati.
Ma quello che è ancora più grave, e che sta passando sotto silenzio, è che anche con questo Ddl si sta portando avanti l’attacco alla Costituzione, che il governo fa di tutto per snaturare. L’articolo 27 garantisce alle persone ristrette i diritti individuali, civili, che la detenzione non può e non deve negare, come il lavoro, la salute, l’istruzione, gli affetti, e stabilisce che le pene non possono consistere mai in trattamenti inumani e degradanti, ma tendere alla rieducazione.
Per questo è indispensabile opporci a provvedimenti come questo, che segnano un pericoloso arretramento politico e culturale, che descrivono una società del controllo che appartiene ad epoche passate e che non vogliamo più sperimentare.
Chiediamo con forza il ritiro di questo Ddl, chiediamolo insieme a tutte le organizzazioni della società civile da tempo impegnate per una giustizia giusta, clemente, per pene umane, per la depenalizzazione di reati minori, per la promozione di misure alternative al carcere.