Un primo punto su cui vorrei richiamare l’attenzione è la sensibilità per la costruzione della democrazia, che mi pare costituisca un tratto unificante della biografia politica di Giovannini. Non solo perché quel tema ritorna sempre, dal progetto “bassiano” in avanti, nelle varie esperienze in cui egli si è trovato coinvolto. C’è prima di tutto una spinta interiore, evidente fin dagli anni Quaranta del secolo scorso e riemersa nelle stagioni successive, che lo induce ad interrogarsi sulla natura, i fondamenti possibili, i modi di costruire la democrazia nel nostro paese. E certamente il tema del rapporto tra sindacato e democrazia è centrale in questa prospettiva, la cui portata trascende, evidentemente, la dimensione biografica e investe i nodi cruciali nella storia della Repubblica.
La sua scelta socialista è caratterizzata da una militanza travagliata nel Psi negli anni del lungo dopoguerra. Qui si delinea quella che sarà una costante nel lavoro politico e sindacale di Giovannini: essere minoranza, uscire spesso sconfitto dalle lotte e dai confronti interni ed esterni alla propria organizzazione, e al tempo stesso non conoscere mai stanchezza o rassegnazione.
Nell’ottobre 1959 Giovannini transita al lavoro sindacale, approdando a quella che sarà la sua esperienza di vita e di impegno più ricca. Il decennio appena trascorso ha confermato la sua vocazione “alternativa”, sia all’interno del Psi che nei confronti del Pci. Ma forse più che per il consueto frazionismo politico e correntizio, o per la rivendicazione minoritaria e critica che caratterizza e caratterizzerà costantemente l’uomo, questa fase si segnala per un approfondimento teorico e sperimentale insieme della relazione tra classe, partito e sindacato. Questo è un punto centrale della riflessione di Giovannini, che lo accompagnerà per tutta la vita.
È proprio sulla questione della rappresentanza sociale delle classi lavoratrici che Giovannini porta avanti idee e proposte di grande interesse e di forte modernità: idee e proposte da un lato sicuramente influenti sulle scelte più recenti del sindacato, dall’altro, e purtroppo con gravi danni, assai poco ascoltate dai partiti della sinistra.
La valutazione di fondo, dove si ereditano e reinterpretano le ragioni profonde della lunga competizione con il Pci per la rappresentanza delle classi subalterne, è che il processo di riorganizzazione della sinistra italiana dovesse necessariamente vedere un nuovo protagonismo sindacale, non limitato al solo piano economico e del lavoro, ma al contrario con una decisa legittimazione politica.
Condizioni essenziali di questa estensione del ruolo sindacale sono una piena autonomia dai partiti - per la quale Giovannini lotta per tutti i ventiquattro anni del suo impegno nel sindacato - e insieme il raggiungimento dell’unità sindacale organica, che invece va incontro a un sostanziale fallimento, con l’unica parentesi della Flm – Federazione Lavoratori Metalmeccanici alla metà degli anni Settanta.
Lo spostamento di centralità dal partito al sindacato è una posizione che incontra forti resistenze, scatena accuse di pansindacalismo, porta persino a incomprensioni e rotture con le sponde politiche amiche, la più sofferta delle quali è quella con Lelio Basso. Giovannini, immerso nelle lotte e nello spirito del tempo e con una certa forzatura nella lettura della fase, sostiene che il centro della lotta di classe si è ormai spostato dal partito al sindacato, ma indubbiamente coglie un punto di grande rilievo quando segnala la nuova capacità di rappresentanza di un sindacato radicato nel mondo del lavoro ma anche nei luoghi della convivenza sociale, rivitalizzato da una partecipazione senza precedenti, capace di legare rivendicazioni tradizionali a temi nuovi, come l’ambiente, la salute, il territorio, i diritti individuali e di cittadinanza.
Questi temi Giovannini li riprenderà e porterà avanti sia nel suo ultimo decennio di vita sindacale (fino al 1983), sia nella sua esperienza in Parlamento (dall’83 all’87, dove è eletto come indipendente nelle liste del Pci), sia infine nel suo incarico di presidente dell’Ires.
Cosa rimane oggi di quella esperienza e come si possono declinare in forma nuova valori e obiettivi al centro dell’azione sindacale e politica di Giovannini? Lui stesso, come parlamentare prima e come responsabile dell’istituto di ricerca della Cgil poi, ha dato nei fatti una risposta. Eloquente, ad esempio, la scelta di presentarsi come indipendente nelle liste del Pci (allora su posizioni di “alternativa democratica”), che ribadisce con chiarezza la sua visione della democrazia in una società divisa in classi. Dove deve essere sempre garantito lo spazio di azione per un’alternativa etica e politica insieme (come sosteneva allora Enrico Berlinguer), perché solo così si può favorire quel clima di confronto senza compromessi e di conflitto anche radicale che costituisce il motore primo dello sviluppo di una società moderna.
Giovannini aveva tante volte ribadito questa sua convinzione: nella lotta contro la politica dei redditi, contro il compromesso storico, persino contro il compattamento dello Stato e delle istituzioni invocato a destra come a sinistra per combattere il terrorismo degli anni di piombo. La sua riflessione circa la necessità di un confronto realmente alternativo e radicale tra le forze in campo è oggi di attualità stringente per le sorti della sinistra e del sindacato, ma anche e soprattutto per la vita democratica del nostro paese.
Più facile parlare dei temi ai quali ha prestato crescente attenzione. L’ecologismo espresso in Parlamento ha le sue radici nelle battaglie di Giovannini per la qualità del lavoro in fabbrica, per le condizioni, ambientali, nelle quali si esercita l’attività lavorativa, per i temi della salute, in fabbrica ma anche fuori e sul territorio, che erano venuti arricchendo la sua agenda sindacale. L’attenzione ai diritti delle persone, al di là delle classi sociali e delle categorie produttive cui appartengono, si sviluppa a partire da una sofferta e controversa partecipazione ai movimenti degli anni Settanta, ai contatti e ai confronti con il femminismo, a una declinazione politica del personale e del vissuto individuale.
Un’attenzione che si incrocia con le trasformazioni del mondo del lavoro e della stessa vita sociale, portando Giovannini a misurarsi sul terreno delle contraddizioni della contemporaneità più stringente: rappresentare la molteplicità e le differenze dei lavori più che il solo lavoro storico; riconsiderare la relazione, oggi sempre più confusa, tra i tempi del lavoro e del non lavoro – come peraltro aveva già fatto il sindacato nella stagione delle riforme degli anni Settanta; far transitare il tradizionale sistema di welfare verso un progetto di riconoscimento universalistico dei diritti di cittadinanza.
È proprio nella battaglia per il reddito minimo garantito, di nuovo minoritaria come è nel destino dell’uomo, che Giovannini conclude il suo percorso pubblico. Ancora una volta si ritrova al fianco di pochi intellettuali, di qualche raro politico e di ancor più rari sindacalisti, e ancora una volta le sue battaglie conoscono il sapore amaro della sconfitta. Ma, come insegna la sua storia personale, oltre che quella pubblica, anche le sconfitte conservano la capacità di far crescere convivenza sociale e convivenza democratica.