In una vecchia ricerca pubblicata alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, Arthur Schlesinger liquidava troppo sbrigativamente un problema che a mio parere avrebbe meritato più attenzione. Nella premessa a “L’internazionale comunista e la questione coloniale”, l’autore affermava che “l’internazionalismo marxista”, a differenza delle visioni universalistiche di matrice religiosa o umanistico-pacifista, non si fondava “semplicemente su principi filosofico-morali” ma su tutta una serie di altri fattori. Mentre a quest’ultimi dedicava la sua appassionata ricerca storico-politica, i primi, al di là di questa breve menzione, rimanevano lettera morta.
La cosa interessante della breve ma folgorante affermazione di Schlesinger, tanto da stimolarmi a un supplemento d’indagine, è l’istintiva consapevolezza dell’esistenza di un sistema morale articolato in principi posto come base dell’internazionalismo marxista. Cioè del marxismo tout court, visto che il “Manifesto del partito comunista” si chiude con un appello rivoluzionario rivolto non ai proletari di una nazione particolare, bensì a quelli di tutto il mondo. Ora, quale sarebbe questo sistema e quali i suoi principi?
Alla fine dell’“Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale dei lavoratori”, pubblicato nel 1864, Marx sosteneva che l’unico elemento che potesse stringere la classe operaia mondiale era il “legame di fraternità”, e che in fondo la rivoluzione per realizzarsi non chiedesse altro ai lavoratori che il loro “concorso fraterno”. Inoltre, nelle “Risoluzioni del Congresso di Ginevra” del 1866, aggiungeva che uno dei grandi obiettivi dell’Internazionale fosse quello di “sviluppare negli operai dei diversi paesi non soltanto il sentimento ma il fatto della loro fraternità”.
Come si vede, i principi morali non sono così numerosi e il sistema che determinano non è così complesso o astratto, si tratta della fraternità, sentita e sperimentata. Piuttosto, se qualcosa di più complesso c’è in questo principio-sistema, è la critica dei principi del sistema morale borghese da cui deriva e dai quali, non a caso, è fatta salva solo la fraternità.
I principi morali ai quali Marx fa riferimento sono naturalmente quelli della borghesia rivoluzionaria francese la quale, specialmente attraverso gli ideali dell’uguaglianza e della libertà, ha organizzato la società regolandola sul sistema monetario e sui suoi principi economici, questi sì reali. Sono ben note le pagine dei “Grundisse”, i “Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica” (1857-1858), in cui Marx dimostra quanto quei valori non siano altro che le forme ipostatizzate delle concrete relazioni tra individui sul mercato, così che la loro predicata uguaglianza sociale in realtà corrisponde alla loro uguaglianza di fronte al denaro come equivalente generale di ogni scambio, e che la loro libertà non consista in altro che nell’affermazione e nel perseguimento del loro egoistico interesse privato. Da tutto ciò Marx conclude che il sistema morale della borghesia, non essendo altro da quello monetario orientato integralmente all’ottenimento del profitto a scapito dei lavoratori, non può che produrre diseguaglianza e illibertà a fronte delle millantante uguaglianze e libertà.
Non a caso Marx torna a ribadire questa idea nel primo libro del “Capitale” (1867) quando definisce la sfera della circolazione nella quale avviene lo scambio di merci: “Quivi regnano soltanto Libertà, Eguaglianza (…) Libertà! Poiché compratore e venditore di una merce, p. es. della forza-lavoro, sono determinati solo dalla loro libera volontà (…) Eguaglianza! Poiché essi entrano in rapporto reciproco soltanto come possessori di merci, e scambiano equivalente per equivalente”.
Ciò che rimane sempre fuori da questa critica spietata è la fraternità, come se questo principio morale non potesse essere emanazione di nessuna categoria economica e che per poter essere realizzato abbisognasse di un mondo nuovo. In questo senso, non si dà una questione morale nel marxismo che non sia rivoluzionaria e internazionale allo stesso tempo, perché la fraternità è l’incubatrice di ogni forma di solidarietà e, di conseguenza, di ospitalità, e Marx non poteva che rivendicarlo come principale valore morale di tutti gli sfruttati della terra.
Affrontare la questione morale al di fuori di questo perimetro, riducendola al legalismo o al giustizialismo, vuol dire rimanere saldamente ancorati ai valori delle classi dominanti e contribuire alla riproduzione del loro sistema di dominazione perché, invocando disperatamente a gran voce tribunali e sevizi segreti per fare giustizia dei corrotti, come sta accadendo con il Qatar-gate, in realtà si continua ad accettare in silenzio un sistema economico basato sul più ‘morale’ dei principi, quello dello sfruttamento del lavoro.