“Giustizia terapeutica”, ha titolato mercoledì 28 aprile il manifesto, con la grande fotografia di una pianta di marijuana e un sommario che racconta dell’assoluzione di Walter De Benedetto, un disabile malato di artrite reumatoide finito sotto processo per aver coltivato cannabis nel giardino della sua abitazione. Perché la sostanza ha un effetto miorilassante, ma la quantità fornita dal Servizio sanitario nazionale in casi del genere, un grammo al giorno, non era sufficiente a lenire le sue sofferenze.
Nella decisione della redazione di aprire il giornale con una storia che per molti versi ha dell’incredibile, e fa capire quanta strada ci sia ancora da fare per affermare principi ineludibili di civiltà, c’è la forza di un quotidiano che proprio il 28 aprile ha festeggiato i 50 anni di vita. Mezzo secolo. “Un atto d’azzardo riuscito bene – ha tirato le somme una cofondatrice, Luciana Castellina – non succede sempre così”. In questo caso è successo, per una somma di ragioni il cui minimo comun denominatore è la capacità, e la libertà, di offrire ai lettori una propria, peculiare griglia interpretativa di quanto accade ogni giorno ai quattro angoli del pianeta.
Sul punto, fra i tanti interventi che hanno salutato il compleanno del “quotidiano comunista”, come ancora ricorda la testata, vale la pena sottolineare il giudizio di uno dei più autorevoli giornalisti italiani, Ezio Mauro: “Non è la ‘parte del torto’ che mi ha interessato, in tutti questi anni, aprendo il manifesto, anche quando non ero d’accordo. È piuttosto la capacità – utile a tutti – di individuare la dimensione politica dei fatti, grandi o piccoli, traendone una lettura generale. La passione dell’indagine politica, quella che potremmo chiamare l’intelligenza degli avvenimenti, senza mai dimenticare il significato culturale dei fenomeni che abbiamo davanti. Questo significa che dietro l’effimero del quotidiano, a cui siamo tutti condannati nei giornali (e per cui, spero, finiremo assolti dai nostri errori), c’è il deposito di una scuola, una sapienza di traduzione dei fatti, una tecnica di lettura e di scrittura, una coscienza del divenire del manifesto legata, nel cambiamento, all’impronta delle origini, un ‘imprinting’ ancora forte”.
Per festeggiare l’avvenimento, la cooperativa editoriale che edita il manifesto ha messo in cantiere una serie di iniziative. Per condividere con i lettori e le lettrici, un’autentica comunità che ha accompagnato – e tante volte sostenuto – il giornale in questo mezzo secolo, la gioia di aver tagliato un traguardo significativo. La scorsa settimana il sito e i contenuti digitali sono stati fruibili da chiunque, senza limiti di accesso, per far conoscere sempre più un giornale che ogni giorno ha almeno una mezza dozzina di articoli irrintracciabili sugli altri media.
In edicola l’edizione del 28 aprile del quotidiano, con una testata celebrativa e un numero unico di oltre 40 pagine con gli interventi di firme del giornalismo, della cultura e del cinema, è stata accompagnata da un supplemento speciale di 96 pagine: un grande album che raccoglie il “meglio” degli anni Settanta, e che potrà essere acquistato anche nei giorni successivi all’uscita. I festeggiamenti per l’anniversario dureranno fino alla fine del 2021, con nuovi album – a maggio gli anni Ottanta e poi ogni mese a seguire – tanti inserti tematici nel giornale e il redesign completo del sito e di tutte le piattaforme digitali. Infine verrà lanciato “A Voce Scritta”, un nuovo podcast a puntate con letture d’autore (primi interpreti Ascanio Celestini e Alessandra Vanzi) degli editoriali che hanno fatto la storia del manifesto.
A proposito di storia: Sandro Medici, un compagno che nel giornale ha fatto di tutto, dalla segreteria di redazione alla raccolta pubblicitaria, dalle inchieste più spericolate alla promozione dell’azionariato popolare, offre uno spaccato del “dietro le quinte” del manifesto che vale la pena sottolineare: “Non so quante attività avrebbero resistito con i conti sempre in rosso, una cronica esilità strutturale, i ricavi sempre insufficienti, gli stipendi a singhiozzo, i sussidi sempre più ridotti e una serie ragguardevole di precarietà, mancanze e malinconiche privazioni. Ciò che ha tenuto e tiene in piedi il manifesto è dunque una misteriosa alchimia immateriale: che ha a che fare con la tensione ideale, il rigore intellettuale, la qualità professionale e, non certo ultima, la sua funzione politica, che poi è strettamente legata alle originarie ragioni fondative. Questo giornale non ce l’avrebbe mai fatta ad andare avanti per così lungo tempo, se fosse stato solo un giornale. Se non si fosse attrezzato alla lotta politica, contrastando poteri e soprusi, svelando imbrogli e miserie, raccontando altre informazioni e altre verità. E così affiancandosi ai lettori, che quelle informazioni e quelle verità vogliono leggere, per usarle e brandirle”.