Non ce ne sarebbe bisogno se fossimo in un mondo che riconosce le differenze come un valore, senza doverle omologare, né negare o cancellare in nome di una normalità decisa da non si sa chi. I continui attacchi da parte di alcune gerarchie cattoliche, del mondo sovranista e dell’integralismo religioso, pongono ancora una volta la questione della laicità dello Stato. Ma il medioevo è vicino a noi anche grazie a ogni uomo, piccolo e meschino, che definisce Kamala Harris “la vice mulatta”, o le donne “oggetti esteticamente piacevoli”, come ha fatto un ormai ex presidente degli Stati Uniti.
Medioevo è anche la cultura che mantiene gli stereotipi in cui l’uomo si identifica con il maschio dominante, che deve difendere l’onore della sua mascolinità violenta, al punto che un uomo intriso di questo clima di odio arriva ad uccidere la sorella solo perché innamorata di un trans.
L’unica cosa che dovrebbe valere è la felicità delle persone, che si avvera solo nella piena realizzazione di se stessi, chiunque tu sia, uomo o donna, e di qualsiasi sesso, genere, orientamento sessuale, colore della pelle, orientamento politico o religioso. Invece siamo ancora a “classificare” le persone nelle categorie citate, e anche il movimento Black Lives Matter richiama a una profonda riflessione sul mondo in cui viviamo. Chissà che, iniziando a tutelare le diversità, non rischiamo di dimenticarci quanto è brutta e inappropriata la parola “normalità”.
In un contesto dove, anche in una realtà notoriamente machista come le forze armate, si comprende la necessità di un maggiore rispetto della diversità di genere - non di sesso, nota bene - celebrando una unione civile in uniforme, non possiamo non convincerci di quanto sia necessaria una legge come quella in questi giorni al vaglio del Parlamento.
Sembrano passati secoli dall’ultimo timido e pasticciato intervento in tema di tutele delle persone Lgbtq+ che questo Paese ha introdotto. Non ci riferiamo all’istituzione delle unioni civili, alla quale la Cgil ha dato un comprovato sostegno, anche con la sua presenza nelle piazze al fianco delle persone Lgbtq+. Nel 2003 il nostro ordinamento ha recepito la Direttiva europea 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizione di lavoro, introducendo un divieto di discriminazione fondata sull’orientamento sessuale. Ancora una tutela introdotta solo a seguito di una Direttiva europea e non già autonomamente costruita nel nostro corpus giuridico, segno della deriva politica di questo Paese.
Una norma importante ma non sufficiente. Per come è stata scritta spesso risulta un contenitore privo di contenuti, introducendo ambiguità e tecnicismi non per incorporare al meglio la Direttiva, ma per indebolire la normativa combinandola con una politica generale di erosione dei diritti dei lavoratori.
La sfida oggi si ripropone: è fondamentale il sostegno a una legge che definisca chiaramente l’aggravante di omofobia e transfobia nei reati d’odio, che metta finalmente al centro la persona indipendentemente dai propri orientamenti sessuali o di genere, e che riconosca il principio di laicità dello Stato.
Brevemente, la proposta di legge si compone di 10 articoli per il contrasto alla violenza e alla discriminazione per motivi legati al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere. La legge interviene modificando codice penale e codice di procedura penale, ampliando le fattispecie previste dalla legge Reale-Mancino, includendo orientamento sessuale e identità di genere, oltre ai già previsti motivi di ordine razziale, etnico, religioso e nazionale. Alcuni articoli sono dedicati alle politiche attive di contrasto, dall’attribuzione delle competenze all’Unar, al sostegno alle vittime, alle politiche educative, e alla previsione di elaborazioni statistiche da parte dell’Istat.
La Filt Cgil Milano e Lombardia ha organizzato il 25 novembre scorso una tavola rotonda sull’argomento con attivisti, sindacalisti e scrittori per confrontarsi, insieme all’onorevole Zan, su come la legge potrà trovare applicazione nella tutela delle persone Lgbtq+ nei luoghi di lavoro (vedi la pagina Fb Filt Cgil Milano Lombardia). Fondamentale sarà la battaglia sulle politiche di educazione al rispetto e alle differenze nelle scuole per sconfiggere il bullismo basato sulle differenze di sesso e genere, ancora oggi causa di suicidio delle vittime.
Molto dobbiamo fare anche nella nostra organizzazione, superando modalità che non affrontano alla radice la questione e non provano a modificare la cultura sottostante, a partire dalle politiche di genere che, proprio per la trasversalità del tema, dovrebbero prevedere un confronto costante che si realizzi in dibattiti, incontri, riflessioni e percorsi formativi per tutti. Le parole fanno la differenza. E assistiamo troppo spesso, e proprio nella nostra organizzazione, all’uso di stereotipi linguistici che fanno leva sul sessismo. La battaglia culturale può, deve cominciare da noi.