E' morto a Firenze il compagno Vincenzo Simoni. A quanti mi hanno chiesto in questi giorni di Vincenzo e come lo avessi conosciuto, ho risposto: nel ’68. Ma poi, ripensandoci meglio, mi è venuto in mente di averlo incontrato per la prima volta a una manifestazione del 1967, indetta contro tale Humphrey, vice del presidente Johnson, il “bombardiere del Vietnam”, in visita a Firenze. Erano i prodromi di quello che si sarebbe rivelato essere il “lungo ’68” italiano, che proprio da quell’evento bellico trasse inizialmente alimento.
Vincenzo aveva già 30 anni e faceva politica nel Psiup, formazione politica sorta da una rottura a sinistra del vecchio partito socialista, all’epoca del primo centrosinistra. Ma fu poi proprio nel ’68 che cominciai a frequentare quel Centro di lavoro politico da lui creato in certe stanzette presenti nella sede del partito in piazza dell’Olio. Da lì sono passati centinaia di studenti delle varie scuole fiorentine, ma l’attenzione di Vincenzo era in particolare per il tecnico Galilei, dove aveva fatto qualche supplenza e con i cui studenti aveva occupato l’Istituto Agronomico per l’Oltremare, un enorme stabile vuoto in fondo a via Marconi. Fu la prima di una lunga serie di occupazioni.
Una volta scioltosi il Psiup, Vincenzo aprì con gli studenti il Centro di documentazione in via de’ Pepi. All’epoca quel luogo attraeva giovani molto diversi fra loro, alcuni privi di esperienza politica, prima che una serie di dissociazioni e scissioni portasse molti di loro ad aderire a Lotta continua. Il Centro continuò ad essere utilizzato da uno sparuto gruppo di studenti fino a quando, nel 1984, i fondatori dell’Archivio “Il Sessantotto” – tra cui Simoni – vennero a sapere che il fondo esisteva ancora grazie agli anonimi eroi che avevano continuato a pagare l’affitto, facendone la propria (prima) sede.
Dalla seconda metà dei ’70 Vincenzo aderì ad Avanguardia operaia, fondò l’Unione inquilini, confluì in Democrazia proletaria; nel clima degli anni ’80 con alcuni compagni decise di fondare un partitino ambientalista di sinistra, chiamato i Verdi Arcobaleno, che ebbe in realtà effimera e poco interessante vita. In quel periodo fu anche consigliere comunale per una legislatura, lavorando molto sul tema della casa: non volle ricandidarsi una seconda volta, perché gli sembrava di aver visto abbastanza sconcezze. Agli inizi degli anni ’90 sembrò che molte anime della sinistra avessero trovato un “contenitore” giusto in Rifondazione comunista: anche il Simoni se ne convinse, ma si rivelò un’illusione di breve durata.
In tutti questi anni e nelle diverse situazioni Vincenzo ha sempre mantenuto una coerenza di fondo: con le sue capacità politiche avrebbe potuto facilmente inserirsi in qualche ambito istituzionale, anche della sinistra, e avrebbe potuto avere cariche importanti, fama e stipendi “lussuriosi”. Invece, è sempre rimasto nei movimenti, nella sinistra rivoluzionaria (anche in Rifondazione era volutamente rimasto ai margini), vivendo modestamente con il suo stipendio di insegnante, poi con la pensione, e rimanendo nella piccola casa che divideva con Stefania, nel quartiere di Santa Croce a cui tanto aveva dato come comunista e organizzatore di lotte e proteste.