Rendita da infortunio sul lavoro e prestazioni di invalidità Inps - di Gabriella Del Rosso

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Un lavoratore aveva subito nel 1995 un grave infortunio sul lavoro, riportando un grado di invalidità valutato nella misura del 72% di perdita della capacità lavorativa. I postumi dell’infortunio del 1995 sarebbero stati sufficienti anche per raggiungere il grado di invalidità necessario per avere diritto all’assegno ordinario di invalidità, liquidato dall’Inps in base all’articolo1 legge 222/1984.

Dal 2001 il lavoratore aveva cominciato a soffrire di altre infermità, non legate ai postumi dell’infortunio lavorativo, che da sole non avrebbero causato una invalidità superiore a 2/3 di perdita della capacità lavorativa (requisito necessario per avere diritto all’assegno di invalidità), ma, in concorso con le patologie derivanti dall’infortunio, raggiungevano tale grado di invalidità. Aveva pertanto presentato domanda all’Inps per ottenere la prestazione di invalidità, ma la domanda era stata respinta. Aveva pertanto adito il Tribunale del lavoro.

Secondo l’Inps, poiché le infermità derivanti dall’infortunio sarebbero state da sole sufficienti per integrare il diritto all’assegno ordinario di invalidità, questo non poteva essere cumulato con la rendita Inail, in virtù del divieto posto dall’articolo 1, comma 43, legge 335/1995. Peraltro fino dalla sentenza di primo grado (Tribunale di Grosseto) si era posto in luce come il divieto di cumulo dovesse ritenersi operante solo laddove vi fosse stata una completa sovrapponibilità del quadro patologico, cosicché potesse parlarsi di “stesso evento”, secondo l’espressione letterale della norma.

La Corte di appello di Firenze aveva espresso gli stessi principi, con riferimento anche alla giurisprudenza della Corte di Cassazione (in particolare, alle sentenze 5494/2006 e 10810/2003), e quindi aveva confermato la sentenza di primo grado che, sulla scorta di Ctu medico-legale, aveva accolto la domanda del lavoratore.

L’Inps aveva proposto ricorso per la cassazione della sentenza, sostenendo la violazione dell’articolo 1, comma 43, legge 335/1995, in quanto il concetto di “stesso evento” = “ perfetta sovrapponibilità” delle patologie non sarebbe conforme alla ‘ratio’ della norma, volta ad evitare che l’assicurato usufruisca di un duplice intervento a carico della finanza pubblica e pertanto, pur trattandosi di diverse assicurazioni per lo stesso evento invalidante che, di norma, avrebbero dato diritto a distinti indennizzi, ha posto il limite della “spendibilità” dell’inabilità conseguente ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale una sola volta, operando un ragionevole contenimento della spesa pubblica nell’ambito del complessivo sistema di sicurezza sociale.

Con sentenza numero 27510 del 28/10/2019 la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Inps, confermando la sentenza della Corte di Appello di Firenze. La Suprema Corte ha motivato la propria decisione ritenendo corretto il criterio della “completa sovrapponibilità” delle patologie, potendo solo in tale ipotesi giustificarsi la scelta legislativa di un unico intervento di sicurezza sociale. Anche qualora i postumi dell’infortunio siano di per sé sufficienti per raggiungere il grado di invalidità necessario per ottenere la prestazione dall’Inps, osserva la Corte, il legislatore avrebbe dovuto precisare che la presenza di altre patologie, indipendenti dall’infortunio, non avrebbe avuto rilievo al fine di negare la doppia prestazione.

In altre parole, ad avviso della Suprema Corte, “se il legislatore avesse voluto ricomprendere nel divieto di cumulo anche la parziale sovrapposizione delle cause, avrebbe dovuto introdurre, per le prestazioni erogate dall’Inps, un meccanismo di riproporzionamento del complessivo quadro invalidante, di volta in volta riscontrato, agli apporti in percentuale delle singole infermità che lo hanno prodotto, così da fornire criteri certi per identificare la misura dell’incidenza obiettivamente assunta dall’evento indennizzato dall’Inail, e poter conseguentemente stabilire quanta parte della rendita infortunistica vada sottratta dall’ammontare del trattamento previdenziale Inps, mentre – prosegue la Corte – è noto che nell’attuale sistema la valutazione della menomazione della capacità lavorativa, ai fini dell’accertamento del diritto alle prestazioni di invalidità o di inabilità a carico dell’Inps, è un giudizio sintetico, per esprimere il quale le varie patologie non possono essere considerate singolarmente e l’una indipendentemente dalle altre, dovendo invece compiersene una valutazione complessiva con riferimento alla loro incidenza sull’attività svolta in precedenza dall’assicurato e su ogni altra confacente”.

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