In “Snaturati” (Castelvecchi, pagine 233, euro 17,50) Marco Morosini svela come il populismo e l’incompetenza abbiano tradito qualsiasi iniziale impostazione di cambiamento del Movimento 5 Stelle.
Si è tolto più di un sassolino dalle scarpe Marco Morosini, che per trent’anni è stato il ghostwriter e consigliere politico fidato di Beppe Grillo, per raccogliere nel libro “Snaturati” una serie di considerazioni pungenti e a tratti irrisorie sulle contrastate vicende del primo partito digitale del mondo. Morosini insegna Politiche ambientali al Politecnico federale di Zurigo, e ha curato l’edizione 2011 del libro “Futuro Sostenibile” del Wuppertal Institut. Ha assiduamente frequentato Gianroberto Casaleggio, ed è dunque in grado di valutare attentamente le differenze tra l’ispirazione originaria del M5S e la pratica politica ambigua e deludente che ne è seguita.
La sua requisitoria può apparire scontata per chi non si è mai fatto incantare dalla retorica a 5Stelle. Però è da leggere come il grido di dolore di un militante che - dopo aver creduto ciecamente in determinate proposte social-ecologiche, finalizzate ad una quanto mai urgente e necessaria transizione del modello di società - a un certo punto scopre che la svolta populista tradisce ripetutamente, a ogni appuntamento, questa impostazione di fondo.
Gli spunti di riflessione in questa direzione sono molteplici. Pur nella sua mole il libro è di facile lettura, in quanto didatticamente ben pensato, anche per comparare i programmi elettorali, voluminosi, di “sinistra”, e quelli veicolati in estrema sintesi, di “destra”, per il grande pubblico. D’altronde, quando un’anima di sinistra realizza che chi detiene il potere, ovvero la Centrale di Milano della Casaleggio e Associati, è disponibile a tutto pur di incamerare un consenso manipolato, contando anche sugli analfabeti funzionali, alcune categorie di interpretazione della realtà (che in molti per varie ragioni hanno gettato alle ortiche) trovano una conferma della loro pregnanza. Non solo la distinzione fra destra e sinistra è tutt’altro che superata, ma appare evidente che l’anti-politica ossessiva avente come bersaglio solo la sinistra, l’avversione nei confronti dei sindacati, e la gogna mediatica contro la casta dei giornalisti, si sono rivelati funzionali alla crescita di un senso comune egemonizzato giocoforza dalle destre.
Ovviamente Morosini non ha gradito l’incontro con Steve Bannon, il governo con la Lega, e l’accreditamento delle tesi di Matteo ‘49milioni’ Salvini, in particolare quando Luigi Di Maio si è accanito vergognosamente contro le Ong. Insegnando e lavorando prevalentemente all’estero, Morosini è consapevole del disgusto che i media internazionali nutrono nei confronti di Salvini, e della pericolosità delle tesi xenofobe e nazionaliste che la Lega esprime rozzamente nel contesto europeo. Anche per queste ragioni giudica Di Maio un “voltagabbana” incompetente, bramoso nel sommare una serie di cariche istituzionali (e non), oltre che eterodiretto dalla Casaleggio e Associati semplicemente perché adatto alla politica nella sua forma mediatica; mentre è al contempo lapidario nei confronti di Alessandro Di Battista.
Altresì è interessante il parallelo che Morosini sviluppa fra Antonio Gramsci e Gianroberto Casaleggio, per comprendere perché il M5S è privo di una visione d’insieme e quindi progettuale della società. Mentre per il Gramsci del giornale “Ordine Nuovo” il discorso pedagogico aveva una marcata centralità – se solo pensiamo ai grandi movimenti di emancipazione del Novecento, che videro per protagonisti “milioni di persone di origine modesta” - il “Nuovo Ordine” di Casaleggio padre è invece decisamente anti-pedagogico, poiché nella sua logica la centralità era affidata alla rete, mutuata tra l’altro dall’ideologia californiana. Al punto che il M5S - privilegiando il ruolo dei comunicatori e non essendo l’espressione di un movimento dal basso - non si è mai paradossalmente dotato di una scuola di formazione politica e culturale. E avendo dimostrato ripetutamente avversione nei confronti degli intellettuali e della cultura in generale, ecco che quanti del mondo intellettuale avevano espresso un certo entusiasmo per la sua rapida ascesa, in un battibaleno (chi prima e chi dopo) si sono prontamente allontanati, bollati con l’epiteto di “radical chic”.
Se è azzardato prevedere quale sarà l’evoluzione del M5S, certamente chi intende contrastare seriamente la svolta a destra del nostro paese dovrà obbligatoriamente analizzare l’esplosione e il successivo declino nella società di un fenomeno neo-qualunquista di questa portata.