Ilva di Taranto: un ambiente da risanare, una fabbrica da difendere - di Giacinto Botti

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La multinazionale Arcelor Mittal disattende gli accordi firmati sull’ex Ilva, rischiando di assestare un colpo durissimo alla nostra economia. L’alibi l’ha fornito il governo con la scelta improvvida dello stop allo scudo penale. Ma alla base c’è la protervia di un capitalismo rapace che, nel mercato globale e nelle guerre commerciali, tra dazi e protezionismi, si sposta alla ricerca del profitto a tutti costi, senza nessun controllo politico, né etica e responsabilità sociale. Una moderna lettura marxista ci fa capire le tendenze del capitale ad accentrarsi nella fase di interdipendenza tra le economie e di globalizzazione, e il nesso tra multinazionali e Stati.

L’Ilva è il simbolo del Novecento industriale italiano. Un’azienda di qualità nata in pieno boom economico e svenduta dallo Stato alla famiglia Riva, che ne ha tratto ingenti profitti. E, senza scrupoli e con la complicità di governi, amministratori e di una politica corrotta, insipiente e succube del mercato, l’ha trasformata in una fabbrica “illegale”. Responsabile, come sostiene la magistratura, del disastro sociale e ambientale e delle tante morti di cittadini e di lavoratori che hanno subito l’inferno di uno sfruttamento feroce.

L’Ilva incarna la dirompente contrapposizione tra ambiente e occupazione, tra diritto alla vita e diritto al lavoro, tra la città e la fabbrica, in un’area come il Mezzogiorno con problemi occupazionali e di mancato sviluppo. La Cgil può e deve avere un ruolo di sintesi e trasformazione contrastando, nel suo agire contrattuale e sociale, lo scambio perverso tra salario e salute, tra occupazione e ambiente. Deve indicare risposte credibili sia al lavoratore che vuole difendere la fabbrica che gli dà da vivere, sia al cittadino che vuole chiuderla per salvaguardare il territorio, la città e la salute di tutti. La risposta che ricompone gli interessi sta nel risanamento del territorio e nel salvataggio dell’azienda, nel fermare le privatizzazioni quando si tratta di beni pubblici e di asset strategici, anche con la nazionalizzazione.

L’Ilva apre contraddizioni e ci ripropone la sfida epocale di come contribuire, nel poco tempo rimasto, a salvare il pianeta e il futuro, come hanno chiesto al mondo, e anche alla Cgil, Greta e i giovani del Fridays for Future. La sfida della trasformazione ecologica, della riconversione produttiva, di un nuovo modello di sviluppo ecosostenibile riguarda tutto il mondo del lavoro ed è problematica per noi e per chi rappresentiamo. C’è bisogno di coraggio, di scelte chiare, di una vera svolta nelle politiche industriali, negli investimenti e nella gestione della cosa pubblica, ma anche nella cultura e nel modo di essere e di consumare di ognuno.

Da tempo la Cgil, con le sue proposte strategiche, dal Piano del Lavoro alla Carta dei Diritti, indica una strada possibile. Si tratta di percorrerla.

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