I cittadini devono avere tutti gli stessi diritti - sanità, istruzione, lavoro, mobilità - a prescindere da dove risiedono, altrimenti si mette in discussione il concetto stesso di unità del paese.
Il percorso verso l’autonomia differenziata ha registrato, la scorsa settimana, una battuta d’arresto: il consiglio dei ministri del 14 febbraio ha infatti rinviato l’approvazione degli schemi d’intesa con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Pesano le riserve dei ministri dei 5 Stelle, ma la partita rimane aperta e potrebbe conoscere sviluppi anche a breve.
La Cgil, nel convegno tenuto il 13 febbraio a Roma, ha confermato la sua contrarietà, sia nella relazione introduttiva che nelle conclusioni del segretario generale Maurizio Landini. “Ribadiamo con forza – ha affermato Landini - la nostra contrarietà ad un’idea di autonomia differenziata che, per come si sta delineando, è in contrasto con i principi fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione. I cittadini devono avere tutti gli stessi diritti fondamentali, sanità, istruzione, lavoro, mobilità, a prescindere da dove nascono, altrimenti si rischia di mettere in discussione il concetto stesso di unità del paese”.
La Cgil è da sempre favorevole alle autonomie, a partire da quelle locali, ma in una cornice solidale. Nel momento in cui si vogliano aumentare a dismisura le competenze delle regioni (Lombardia e Veneto richiedono ventitré materie, fra le quali le infrastrutture, che hanno dimensione persino sovranazionale, e il lavoro, che necessita una regolazione omogenea), la cornice richiede leggi quadro sui principi delle materie trasferite; la determinazione (prevista dalla legge del 2009 sul federalismo fiscale, mai attuata) dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep); e la garanzia del loro finanziamento omogeneo sulla base dei fabbisogni standard, anch’essi da definire.
Le bozze delle pre-intese prevedono, invece, di partire dal criterio della spesa storica (quanto spende lo Stato per una determinata funzione in una specifica regione), un criterio che cristallizzerebbe gli squilibri attuali fra nord e sud della penisola. Ai trasferimenti secondo i fabbisogni standard si arriverebbe entro cinque anni, ma tenendo anche conto del gettito fiscale regionale, che li differenzierebbe regione per regione, favorendo ancora una volta quelle più ricche.
Lombardia e Veneto hanno infatti rivendicato di poter trattenere, in larga parte, il cosiddetto residuo fiscale (la differenza fra le entrate registrate nella regione e la spesa ivi sostenuta dallo Stato): una rivendicazione inaccettabile e basata su presupposti sbagliati, come ha dimostrato, nel convegno della Cgil, il presidente della Svimez. Adriano Giannola ha evidenziato come ci sia effettivamente una differenza fra entrate e spese, segnalando peraltro che questa sia più che riequilibrata dal pagamento degli interessi sul debito pubblico, che portano somme ingenti ai possessori dei titoli nelle regioni che chiedono l’autonomia. Ugualmente, la spesa delle regioni meridionali si indirizza in buona parte verso queste regioni, che beneficiano del sud come mercato disponibile. Un mercato che si indebolirebbe se si riducessero le risorse alle regioni meridionali.
Si tratta dunque di “smontare”, in una discussione pubblica fin qui del tutto carente, il mito del residuo fiscale, rendendo peraltro trasparente un percorso ad oggi sostanzialmente secretato (con la trattativa diretta Governo/Regioni interessate), e che, secondo le bozze circolate, prevederebbe che il Parlamento possa solo approvare i testi a scatola chiusa, o respingerli.
Molti sono gli aspetti inquietanti nel merito delle possibili pre-intese: ci soffermiamo su quelli sulla tenuta del sistema contrattuale e del sistema scolastico. Prevedere contratti integrativi regionali per il personale scolastico e, a regime, il reclutamento su base regionale e la dipendenza dalla Regione per il rapporto di lavoro, mette in causa la contrattazione nazionale a partire da un settore fondamentale per numerosità e funzione. Trasferire alle Regioni l’organizzazione e la gestione del sistema scolastico mette in questione il diritto universale all’istruzione, rischia di portare a sistemi scolastici molto diversi (e l’esperienza dei venti sistemi sanitari regionali non è certo un modello), e non si giustifica, da un punto di vista formativo, in uno scenario sempre più globalizzato.
Ci sono quindi molte buone ragioni per costruire iniziative territoriali di contrasto a questa forma di autonomia differenziata, ricercando le massime convergenze unitarie, e portando senza indugio il dibattito e l’iniziativa nel mondo del lavoro e fra i cittadini.