Dopo un iter infinito, firmato il Contratto nazionale Istruzione e ricerca 2019-21 - di Raffaele Miglietta

Urgente una modifica del sistema di regolazione dei rinnovi contrattuali nel settore pubblico.

È stato definitivamente sottoscritto, il 18 gennaio scorso, il Ccnl “Istruzione e ricerca” relativo al triennio 2019-21. Si tratta sicuramente di una buona notizia per le lavoratrici e i lavoratori del comparto, che acquisiscono importanti miglioramenti sia sul piano economico che normativo. La Flc Cgil ha firmato dopo un’intensa campagna di assemblee, da cui ha ricevuto pieno mandato dal personale consultato.

Le retribuzioni, per effetto del contratto, risultano incrementate in misura maggiore rispetto all’inflazione (Ipca depurato) del periodo di competenza (2019-21); ciò comporta, ad esempio, per il personale della scuola aumenti retributivi del 5,19% (circa 110 euro mensili).

Alcune criticità registrate al momento della definizione dell’ipotesi di contratto dovrebbero essere in via di superamento, in particolare per il settore Ricerca i cui enti, a seguito di un apposito stanziamento in legge di bilancio 2024, potranno disporre - sia quelli vigilati che non vigilati dal Mur - delle risorse necessarie per la valorizzazione del personale.

Sul piano normativo numerosi i miglioramenti in materia di diritti (congedi dei genitori, donne vittime di violenza, lavoratori transgender, personale precario), ma anche su aspetti relativi all’ordinamento professionale, alle condizioni di lavoro e in materia di relazioni sindacali.

In breve, i contenuti del contratto sottoscritto confermano quelli della precedente ipotesi contrattuale (del 14 luglio 2023) che sono stati già illustrati in un precedente articolo (https://www.sinistrasindacale.it/index.php/periodico-sinistra-sindacale/2023/280-2023/numero-14-2023/2872-istruzione-e-ricerca-finalmente-sottoscritta-l-ipotesi-del-ccnl-2019-21-di-raffaele-miglietta).

Appare comunque importante cogliere questa occasione per evidenziare alcuni aspetti critici di questa vicenda contrattuale che hanno un particolare rilievo sindacale. Il primo: tra la sigla dell’ipotesi contrattuale e la firma finale ci son voluti ben sei mesi, ovvero il tempo che gli organismi di controllo (Mef, Corte dei Conti, ecc.) hanno ritenuto di impiegare per deliberare la certificazione necessaria alla sottoscrizione definitiva del contratto. Un tempo siderale, che non solo è difficilmente spiegabile per questo tipo di adempimento, ma soprattutto è incompatibile con l’esigenza di dare immediato seguito ad un accordo contrattuale i cui effetti ricadono sulle condizioni lavorative e professionali del personale, e di conseguenza, sulla qualità dei servizi pubblici offerti alla cittadinanza (che in questo caso sono svariati milioni di alunne e alunni).

Il secondo punto di criticità è ancor più grave: il contratto appena sottoscritto arriva con ben tre anni di distanza dalla scadenza del triennio di competenza. Mentre viene firmato il Ccnl 2019-21 siamo già quasi al termine del triennio contrattuale successivo (2022-24). Il rischio, forte, è che anche il prossimo rinnovo contrattuale subisca gli stessi intollerabili ritardi. Rinnovare i contratti a distanza di anni rispetto al periodo di vigenza comporta un insostenibile disallineamento tra ciò che si va a regolare per via contrattuale e le effettive e concrete condizioni di lavoro, che sono in rapida e continua trasformazione. Così come sono fortemente mutevoli anche le condizioni economiche, perché richiedono una tutela retributiva che sia la più tempestiva possibile, come l’infiammata inflattiva degli ultimi anni mostra chiaramente.

Senonché il governo per i prossimi rinnovi contrattuali dei settori pubblici non solo ha stanziato le risorse con molto ritardo - di fatto al termine del triennio di validità con la legge di bilancio 2024 - ma ha previsto incrementi retributivi di molto inferiori alle necessità: il 5,78% a fronte di un’inflazione (Ipca depurato) del 16,9%, in pratica a copertura solo di un terzo della perdita del potere d’acquisto. È evidente che a queste condizioni sarà molto complicato rinnovare i contratti. Occorrono con tutta evidenza risorse aggiuntive per la piena tutela degli stipendi.

Più in generale, occorre rivedere dalle fondamenta il sistema che regola i rinnovi contrattuali nel settore pubblico. Non è possibile che gli stanziamenti e i tempi del negoziato siano nelle sole mani della parte datoriale (ovvero il governo), che ne può disporre a piacimento. Vanno previsti tempi stringenti che, ad esempio, impongano delle penalità alla parte pubblica, in caso di ritardo di emanazione dell’atto di indirizzo e di avvio delle trattative. Così come vanno previsti meccanismi automatici di tutela del potere d’acquisto delle retribuzioni, e modalità di recupero dell’inflazione tra una tornata contrattuale e l’altra.

 

Da ultimo è giunto il momento di abbondonare l’indice Ipca quale strumento di misurazione dell’inflazione, poiché non si capisce perché il costo dell’aumento dei prezzi dei beni energetici importati debba ricadere tutto e soltanto sugli stipendi di lavoratrici e i lavoratori.

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