Migranti in Albania, perseverare è diabolico - di Riccardo Chiari

Non ha insegnato alcunché il fallimento del governo italiano di “esternalizzare” in centri di detenzione in Albania i richiedenti asilo. Invece di accettare le norme sovraordinanti del diritto europeo, Giorgia Meloni ha scelto di rilanciare con il decreto legge 158/2024, con cui l'esecutivo tenta di fare fronte alle ordinanze dei giudici di Roma che non hanno convalidato il trattenimento di 12 richiedenti asilo provenienti da paesi di origine definiti come “sicuri”.

Il decreto legge stabilisce che l’elenco dei paesi di origine “sicuri”, finora contenuto in decreti interministeriali e che contemplava 22 nazioni, ora ridotte a 19 con l'esclusione di Nigeria, Camerun e Colombia, sia da aggiornare periodicamente. Ma anche con l’entrata in vigore del nuovo provvedimento i giudici resteranno soggetti alla normativa dell’Unione europea, e potranno disapplicare il diritto interno in contrasto con le disposizioni contenute nei Regolamenti e nelle decisioni della Corte di giustizia dell’Ue.

Di fronte all'operazione di polizia marittima che ha portato 19 migranti, su navi della Marina militare e dunque in territorio italiano, nei centri di detenzione albanesi, i giudici e i giuristi più attenti hanno sottolineato che questa azione configura la violazione del divieto di respingimenti collettivi affermato, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, dalla Cedu e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue.

 

Nonostante gli sforzi, propagandistici e a scopo elettorale, del governo Meloni, i centri di detenzione in Albania resteranno ancora vuoti o quasi. Magari con alcuni richiedenti asilo trasportati lì in stato di fermo, ma che al termine della procedura accelerata finiranno invariabilmente per essere ritrasferiti in Italia. E con il rischio concreto di una procedura di infrazione per il nostro paese, perché nei paesi dell'Ue il diritto comunitario ha una valenza superiore a quello dei singoli Stati.

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