Dove va la Francia? - di Sandro De Toni

Il ‘barrage’ repubblicano e antifascista sbarra la strada al Rassemblement National di Le Pen e porta alla maggioranza relativa del Nouveau Front Populaire. 

“Dove va la Francia?” si chiedeva in un suo opuscolo Léon Trotsky negli anni trenta del secolo scorso, mettendo in risalto tutti i motivi della crescita dell’estrema destra dell’epoca, arrivando a questa conclusione: “Quando il popolo non trova soluzione nella speranza rivoluzionaria, può essere tentato di cercarla nella disperazione contro rivoluzionaria”. Tradotto in francese contemporaneo: se la sinistra abbandona e tradisce i ceti popolari, questi ultimi sono tentati di cercare una risposta nelle ricette identitarie della destra xenofoba. Ma per il momento non è andata così.

“Ora e sempre … desistenza!”, questa è stata la parola d’ordine di un composito “front républicain” che ha dato i suoi frutti, ma che certo non ha delineato un vero progetto politico.

A sorpresa il Nouveau Front Populaire (Nfp) è risultato primo con 195 deputati, conteggiando anche gli indipendenti di sinistra, di fronte al campo macroniano che passa dai 250 parlamentari del 2022 ai 168 attuali. Il Rassemblement national (Rn), pur crescendo da 89 a 143 deputati, non raggiunge né la maggioranza assoluta (289 seggi) né quella relativa.

Nessuno schieramento ha peraltro la maggioranza assoluta. Ritorna centrale il ruolo dell’Assemblea nazionale, ancor più legittimata da una partecipazione record alle elezioni, del 66,7%. Adesso comincia il difficile avendo presente due tappe: una possibile, per nuove elezioni legislative che si potranno tenere solo fra un anno, l’altra sicura, la madre di tutte le battaglie, l’elezione presidenziale del 2027.

 

Il popolo dei borghi e quello delle torri

Il Rn si lecca le ferite ma rimane molto forte, punta tutto sull’instabilità politica e sul bersaglio grosso: Marine Le Pen all’Eliseo. Denunciando il “patto indegno” e “il partito unico dai gollisti ai trotskisti” (si, anche quest’ultimi hanno aderito al Nfp) che ha scippato loro la vittoria, continueranno a dare voce, se la sinistra non riuscirà a tornare tra questi ceti popolari, alla Francia degli impoveriti, dei dimenticati dalla globalizzazione che si sentono da decenni disprezzati, marginalizzati e che odiano i “parigini”: deindustrializzazione, crisi del piccolo commercio e dell’artigianato, agricoltori in rivolta contro le politiche ‘green’ declinate con modalità antisociali, aumento delle tasse sui carburanti fossili mentre si toglie l’imposta sui patrimoni finanziari. Sono gli eredi dei gilets jaunes ai quali non sono state date vere risposte, mentre i servizi pubblici, a partire dalla sanità, hanno abbandonato i territori rurali e la Francia minore delle piccole città dove vivono milioni di persone.

Il tentativo palese dei macronisti è quello di raggrumare una maggioranza, sia pure relativa, intorno ad Ensemble!, la coalizione che elesse Macron all’Eliseo, negoziando con la sinistra ‘non insoumise’ un accordo di governo. La ‘gauche’ soddisfatta di questo risultato inatteso per ora tiene: da Jean-Luc Mélenchon à François Hollande passando per Olivier Faure, segretario del Partito socialista (Ps) e Marine Tondelier, presidente dei Verdi, tutti ribadiscono il grande valore dell’unità raggiunta e mettono in primo piano il programma del Nfp: pensione di nuovo a 62 anni, aumento del salario minimo a 1.600 euro netti al mese, blocco di alcuni prezzi di beni di consumo e delle tariffe di gas e luce, ampia riforma per ovviare ai deserti sanitari della Francia rurale e periurbana, ripristino della tassazione sulle ricchezze finanziarie, rispetto dei diritti delle donne e degli immigranti. Come che sia il Front populaire si è impegnato a indicare nella settimana dopo il voto un nome per l’incarico da primo ministro.

Il Nfp ha incrementato i suoi voti passando dai 138 seggi della Nupes (Nouvelle union populaire écologique et sociale) ai 182 eletti del Nfp (più altri 13 orientati a sinistra). Ma i rapporti di forza si sono riequilibrati perché La France Insoumise (Lfi) rimane sostanzialmente stabile, i socialisti eleggono 59 parlamentari (il doppio della tornata precedente), i verdi 28 e i comunisti solo 9.

La visione di Mélenchon è quella di una “Nuova Francia” creola e multietnica, “il cui cuore siano i quartieri popolari dove vive la maggioranza dei suoi giovani che sono la parte più importante della società. Gli altri vogliono dividere i francesi, noi vogliamo unirli”.

Sarebbe un grave errore per la sinistra mettere i ceti popolari delle ‘banlieue’ contro i perdenti della globalizzazione. Come dice François Ruffin: “Dobbiamo unire gli abitanti dei borghi e quelli delle torri” (le case di edilizia popolare delle ‘banlieue’). Solo la ‘gauche’, evitando la trappola delle ammucchiate “antifasciste” e combattendo la disperazione dei ceti popolari, potrà far rinascere la speranza del cambiamento.

Roma, 8 luglio 2024

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