Oltre il voto, partecipazione per il cambiamento. Riflettendo su esperienze di minoranze - di Enrico Lobina

Tiziana Barillà, “Quelli che Spezzano. Gli arbëreshë tra comunalismo e anarchia”, Fandango Libri, pagine 224, euro 15.

“Quelli che Spezzano – gli arbëreshë tra comunalismo e anarchia”, di Tiziana Barillà, uscito nel 2020 per Fandango Libri, è la storia di un paese calabrese, Spezzano, i cui abitanti si riconoscono nella minoranza albanese, una delle minoranze nazionali e linguistiche d’Italia.

Spezzano Albanese ha conosciuto un forte ed efficace intervento della comunità anarchica locale, che ha costruito un esempio di autogoverno ed ha influenzato in modo decisivo, negli ultimi decenni, la vita singola, organizzata e istituzionale di tutta la comunità.

L’interesse iniziale verso il libro riguardava il fatto che gli arbëreshë fossero una minoranza linguistica, per capire quanto questo elemento fosse collegato, o avesse influenzato, la storia sociale e politica della comunità. In realtà però il libro si collega a letture e considerazioni che riguardano il rapporto tra elezioni ed autorganizzazione, nella prospettiva di cambiamento della società.

Ancora più a monte, da anni mi pongo la domanda sul perché per molti decenni del Novecento, in migliaia di comuni, amministrazioni comunali a guida comunista, e in alcuni casi a guida di partiti più a sinistra del Pci (per esempio Democrazia Proletaria) non siano riusciti ad inserire “elementi di socialismo” nella loro attività o, quantomeno, l’abbiano fatto in modo molto flebile.

Con “elementi di socialismo” intendiamo quella elaborazione teorica (si tratterebbe di capire quanto poi è stato messo in pratica) che il Pci compì nella seconda metà degli anni settanta, quando conquistava centinaia di comuni piccoli, medi e grandi, e ragionava su come realizzare il suo compito storico (il socialismo) a partire dagli enti locali. In altri termini, il Pci voleva che l’azione di decine, centinaia di sindaci comunisti fosse orientata al “socialismo” e non solamente al “buon governo”.

Il libro di Barillà racconta il caso di Spezzano, che è assolutamente particolare, in quanto la comunità anarchica locale reinterpreta con successo l’eredità di una particolare condizione storica (l’essere una minoranza nazionale), nonché il senso comune ribellistico e antiautoritario che caratterizzò i cosiddetti “briganti”. Da ultimo, Spezzano in età contemporanea conobbe un sostanziale “monocolore Pci” che ha le sue radici in una profonda volontà rivoluzionaria della cittadina, che però poi venne dallo stesso Pci sostanzialmente tradita. Di quella volontà si fece interprete, a suo modo, la comunità anarchica, soprattutto mediante l’esperienza della Federazione Municipale di Base.

La Federazione Municipale di Base è una organizzazione di massa, a cui chiunque può aderire, che è riuscita a costruire un’altra società, un’altra dinamica politica, senza mai presentarsi alle elezioni, bensì mediante il controllo popolare, l’autorganizzazione, l’azione di massa.

Nella mia personale ricerca sulle ragioni del mancato “assalto al cielo” segnalo un esempio pratico e un filone di ricerca. Il primo è il caso di Marinaleda, un piccolo comune dell'Andalusia. Elvira Corona ne ha scritto qualche anno fa, nel suo libro “Sì, se puede! Viaggio nella Andalusia della speranza oltre la crisi”. Insieme a Marinaleda, l’esempio del Rojava, del Kurdistan, del confederalismo democratico praticato nei comuni e nelle regioni, teorizzato da Murray Bookchin e tradotto per il Kurdistan da Abdullah Ocalan, è un filone di ricerca da coltivare. Il caso curdo viene trattato da Tiziana Barillà, insieme al Chiapas e ad Exarchia, in Grecia.

Al di là delle singole esperienze, delle specificità territoriali, e delle diverse posture ideologiche soggettive, un elemento di giudizio mi sembra pacifico: da solo il momento elettorale non serve a nulla. Se si vuole cambiare la società, in profondità, non basta vincere le elezioni. O c’è un movimento popolare continuo, che da una vittoria elettorale viene rafforzato e non spento, oppure si potranno anche rivincere le elezioni, ma la volontà di cambiamento rimarrà una mera enunciazione di principio.

Con “cambiamento” intendiamo cambiamenti strutturali, di lungo periodo, profondi. Ragionare sul ruolo delle assemblee elettive, degli assessori e dei sindaci - se questi vogliono essere vettori di cambiamento - è necessario, se vogliamo dare un senso alla stessa partecipazione al voto. La partecipazione al voto cala, banalmente, perché le persone si accorgono che nulla cambia dopo che sono andati per tanti anni a votare.

 

 
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