Mercato del lavoro in Veneto, non è oro quel che luccica - di Enrico Ciligot

“Una Regione dinamica e intraprendente, che raccoglie le sfide del mercato del lavoro e le interpreta cercando di dare risposte concrete al mondo delle imprese e ai suoi lavoratori”. Con queste parole l’assessore regionale al Lavoro, all’Istruzione e alla Formazione, Elena Donazzan, ha commentato i dati relativi all’ultimo report “La Bussola” predisposto da Veneto Lavoro e relativi al 2023. In realtà i dati del 2023 vedono un aumento dei contratti legati a turismo, agricoltura e commercio al dettaglio (quindi prevalentemente stagionali). Un saldo positivo ma con molte ombre, e che già verso la fine dell’anno segnava una tendenza in calo.

E' una tendenza confermata anche nei primi mesi del 2024, con il report trimestrale di marzo. Infatti il saldo degli occupati non riesce ad eguagliare i numeri del 2023. Le cause sono un numero maggiore di cessazioni, di trasformazioni, e una diminuzione importante della domanda di lavoro.

A febbraio i tempi indeterminati diminuiscono del 6% e le trasformazioni del 16%. Aumentano i tempi determinati e l’apprendistato che pur mantenendo il segno positivo registrano una contrazione del 7% e 8%. I tempi pieni diminuiscono del 3% in totale ma per la componente femminile la percentuale raddoppia al 6%. E sempre le donne primeggiano nei contratti part time (che aumentano del 4%) 51% contro il 21%.

L’industria segna un bilancio positivo seppur in progressivo ridimensionamento rispetto al biennio precedente: tale andamento è determinato prevalentemente dal comparto metalmeccanico (che presenta un saldo positivo anche se dimezzato rispetto al medesimo periodo del 2023).

Insomma, non è tutto oro ciò che luccica.

Il Veneto del post pandemia vede le donne maggiormente penalizzate, sia sulla tipologia contrattuale (aumentano i part time femminili) che sulla forma contrattuale. I contratti a tempo indeterminato coinvolgono più del doppio gli uomini rispetto alle donne. Quindi le donne hanno un presente lavorativo povero e, guadagnando meno, un futuro da pensionate molto più critico rispetto al pari maschile.

Tornando alle parole dell’assessore, il Veneto dinamico e intraprendente facciamo francamente fatica ad individuarlo. Un mercato del lavoro caratterizzato da forte discontinuità e bassa intensità per quanto ci riguarda è un mercato del lavoro che sarebbe più opportuno definire statico e inerte.

Il trionfalismo propagandistico della Regione (al pari delle forze governative) è dettato solo dai saldi in termini numerici positivi, ma non analizzano la qualità del lavoro, scollegando i numeri degli occupati dal calo demografico. Manca il confronto delle ore lavorate (nemmeno l’Istat fornisce questo dato), e la durata dei contratti. Per le statistiche anche un contratto da quattro ore settimanali corrisponde ad un nuovo occupato. Ma può essere considerato un lavoro dignitoso? Inoltre le statistiche non forniscono risposte alle seguenti domande: quanto durano questi contratti? Quante ore di lavoro prevedono? Quale il salario medio? Quanti contratti a termine vengono trasformati in tempo indeterminato?

Poi c’è il grande tema degli inattivi, coloro che non sono classificabili né come occupati né come disoccupati. Quelli che hanno rinunciato alla ricerca di un lavoro. Questo dato è in aumento, anche tra gli over 35. Dietro a questo mondo ci sono motivazioni diverse: lo scoraggiamento, l’impossibilità di accettare offerte di lavoro, profonde disuguaglianze. Insomma, le ragioni per cui si resta fuori dal mondo del lavoro sono diverse e molto serie.

Le imprese chiedono più competenze, che spesso vengono ricercate oltre confine. La Regione Veneto ha avviato, insieme a Emilia Romagna e Lombardia il progetto Thamm Plus, finanziato dall’Unione europea, che mira a facilitare l’ingresso di forza lavoro qualificata attraverso la formazione di manodopera nel settore della meccatronica. Progetto sicuramente ambizioso e nobile, ma forse si potrebbe iniziare anche a lavorare su percorsi di formazione e riqualificazione all’interno delle imprese. Formare un lavoratore che rischia di uscire dal modo del lavoro va a beneficio di tutti: lavoratore, impresa e stato sociale.

L’ultimo rapporto Eurostat (settembre 2023) colloca l’Italia ultima in classifica sullo stato di occupazione. L’Italia, a fronte di una media europea del 75%, si ferma ad 61%. A registrare un elevato tasso di occupazione sono il Lussemburgo e i Paesi Bassi (93%), la Germania (92%) e Malta (91%), mentre i tassi più bassi si trovano in Italia (65%), Grecia (66%) e Romania (70%). Una lettura attenta dei dati individua possibili criticità e squilibri, ed evidenzia il fatto che ancora non si fa abbastanza per garantire protezione sociale soprattutto alle generazioni più giovani ed a quelle future.

Insomma un mercato del lavoro sempre più precario; lavoratrici e lavoratori più ricattabili, il cui unico risultato sarà il declino economico e la svalorizzazione del lavoro nel nostro Paese.

 

 
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