Chi e cosa sta dietro la bufala sul corteo avviato verso la sinagoga.
Molto si è detto e scritto sui fatti accaduti il 23 febbraio scorso a Pisa, quando un corteo di studenti è stato brutalmente aggredito senza apparenti motivi dalle forze dell’ordine. Le immagini di giovani e giovanissimi – alcuni anche minorenni – manganellati dagli uomini in divisa, o addirittura scagliati a terra e immobilizzati come se fossero pericolosi criminali, hanno fatto il giro del mondo, suscitando un moto di indignazione collettiva.
Sulla vicenda, come noto, è intervenuto persino il Presidente della Repubblica, che è stato costretto a ricordare al ministro dell’Interno quel che dovrebbe essere ovvio per qualsiasi rappresentante delle istituzioni: e cioè che “l’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare”.
Sul tema, dicevo, si è già scritto molto, e sarebbe inutile aggiungere ulteriori commenti ai tantissimi già pubblicati su giornali, blog, siti di news e pagine social. Mi limito qui a soffermarmi su un punto relativamente marginale ai fini della ricostruzione dell’intera vicenda, ma gravido di conseguenze per il nostro dibattito pubblico: mi riferisco alla falsa notizia secondo cui le forze dell’ordine avrebbero manganellato gli studenti per impedire loro di raggiungere “obiettivi sensibili”, in particolare i luoghi di culto ebraici della città.
Il primo a diffondere questa bufala è stato il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli, che proprio nella serata del 23 Febbraio ha scritto su X (l’ex Twitter): “Tentare di marciare sulla sinagoga di Pisa o tentare di assaltare il consolato Usa a Firenze non sono diritti, ma gesti violenti”. Nelle stesse ore il vicepresidente del Consiglio e leader di Forza Italia Antonio Tajani, in una nota diramata alla stampa, ha affermato che quella degli studenti “era una manifestazione non autorizzata [sic], c’erano persone con il volto coperto e lì vicino ci sono la sinagoga e il cimitero israelitico, che sono luoghi protetti e a rischio”.
Poi, come succede spesso alle fake news, la storiella degli studenti che volevano assaltare la sinagoga ha cominciato a prendere vita propria: si è diffusa sui social, è stata ripetuta da commentatori e giornalisti televisivi, ed è stata oggetto di preoccupate rampogne di improbabili “educatori”. Memorabile, in proposito, è stata la filippica di Mariolina Sattanino nella puntata di “Che Sarà” del 24 Febbraio, su Raitre: “Bisogna anche spiegare a questi ragazzi che non ci si può avvicinare al consolato americano [a Firenze] (…), e soprattutto che non si può puntare alle sinagoghe, perché questo no, proprio no…”.
L’accusa di voler “marciare sulla sinagoga” è smentita però, in primo luogo, da una banale considerazione geografico-topografica: se Giovanni Donzelli, Antonio Tajani o Mariolina Sattanino avessero avuto la pazienza e la bontà di consultare una mappa di Pisa, si sarebbero accorti che la via San Frediano – quella dove sono avvenuti gli “scontri” – è considerevolmente lontana dal Tempio Ebraico. Per di più, per arrivare alla sinagoga gli studenti avrebbero dovuto oltrepassare l’asse Borgo Stretto-Borgo Largo – una delle strade che tagliano in due il centro storico – che era facilmente presidiabile dalle forze dell’ordine.
In altre parole, invece di impedire l’accesso alla Piazza dei Cavalieri, la Questura avrebbe potuto più utilmente schierare un piccolo cordone nei pochi e strettissimi punti di accesso ai due Borghi: con una manciata di agenti il problema si sarebbe risolto, senza manganellate e senza inutili polemiche…
Ma, al di là della geografia urbana di Pisa, ciò che preoccupa è l’immaginario che sta dietro alla fake news della sinagoga. Dovrebbe essere abbastanza ovvio che, di per sé, invocare il cessate il fuoco a Gaza e chiedere la fine dei massacri indiscriminati di civili palestinesi non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo: e questo per la banale ragione – ma è persino imbarazzante dover ribadire una cosa così ovvia – che un conto sono le scelte del governo Netanyahu, un altro conto è il popolo israeliano, e un altro conto ancora sono gli ebrei che vivono in Italia o in altri Paesi. È fin troppo evidente che la responsabilità di quel che sta accadendo a Gaza ricade interamente ed esclusivamente sul governo Netanyahu.
Intendiamoci: l’antisemitismo è stato per decenni un tratto distintivo della cultura europea, continua ancor oggi a permeare il nostro immaginario collettivo, ed è purtroppo vero che ne sono state trovate tracce – per fortuna sporadiche – anche nelle pagine social di alcuni manifestanti pro-Palestina. Si tratta ovviamente di segnali da non sottovalutare, ma resta il fatto che i cortei di questi mesi per il cessate il fuoco a Gaza – in Italia e fuori d’Italia – hanno avuto tutt’altro segno, e sarebbe difficile negarlo.
Attribuire intenzioni antisemite agli studenti che manifestavano a Pisa non è però solo falso e disonesto: è anche paradossale, visto che l’accusa proviene soprattutto da esponenti di Fratelli d’Italia, una forza politica che è sempre stata perlomeno ambigua nei suoi rapporti con il passato fascista (e antisemita) dell’Italia. E allora sarà opportuno ricordare che appena due anni fa il presidente del Senato Ignazio La Russa, membro di quel partito, si è rifiutato di togliere la foto di Benito Mussolini (promotore delle leggi razziali antiebraiche) da Palazzo Piacentini, sede del ministero dello Sviluppo economico. Così come sarà opportuno ricordare che nel 2017 – quando era ancora all’opposizione – l’attuale premier Giorgia Meloni pubblicò un post contro il magnate della finanza di origini ebraiche George Soros, accusandolo di essere “un usuraio”, con un linguaggio e una retorica tipici dell’antisemitismo storico.
Peraltro proprio l’immagine di Soros diffusa dalla propaganda “sovranista” dovrebbe farci riflettere sulla persistenza delle mitologie antisemite nella destra italiana ed europea. Soros infatti non è soltanto il bersaglio di critiche – di per sé legittime – al suo operato e alle sue scelte politiche, ma è al centro di una vera e propria ossessione paranoica: a lui si fanno risalire improbabili complotti finalizzati alla “sostituzione etnica” e alla costruzione di un nuovo ordine mondiale. Nell’immaginario di molti sovranisti, il miliardario ungherese è una sorta di “burattinaio” che muove i fili dei flussi migratori nel Mediterraneo, dei movimenti di protesta afroamericani negli Stati Uniti o delle mobilitazioni democratiche in Ungheria e nell’est Europa.
Questa idea di una cospirazione occulta manovrata da un grande finanziere (ebreo) ci riporta direttamente alle teorie del complotto dei movimenti antisemiti di inizio Novecento: si pensi alla leggenda dei “Savi Anziani di Sion”. Certo, i complottisti di oggi fanno fatica a pronunciare la parola “ebreo”, e si rifugiano nella più comoda metafora dell’“usuraio”: nondimeno, tutta la propaganda anti-Soros, in Italia e in Europa, lascia trasparire la persistenza di un immaginario antisemita ancora saldamente radicato nella cultura delle destre.
Negli ultimi anni partiti dichiaratamente reazionari, eredi di organizzazioni fasciste o neofasciste e spesso promotori di virulente campagne d’odio contro i migranti o contro le persone Lgbtq, hanno potuto “ripulire” la loro immagine pubblica appoggiando le politiche della destra israeliana. Un viaggio simbolico allo Yad Vashem o una frase di circostanza sulla Shoah sono stati l’unico e modesto prezzo da pagare per potersi ergere a nemici giurati dell’antisemitismo (e più in generale del razzismo), a dispetto di un passato imbarazzante mai del tutto archiviato, e di un presente caratterizzato da posizioni negazioniste più o meno esplicite. È un fenomeno accaduto non solo in Italia, ma in tutta Europa.
Una riflessione seria sull’antisemitismo, sulle sue metamorfosi, sulla sua persistenza nel mondo di oggi, dovrebbe forse partire da qui: non certo dagli studenti di Pisa e dal loro fantomatico attacco alla sinagoga.