Ho avuto l’onore di conoscere Toni Negri, ed è molto importante ricordare la sua figura di comunista su un giornale legato alla Cgil. Toni era molto attento alle novità e alle proposte provenienti da questa organizzazione. Seguiva con molta attenzione gli scioperi e le vertenze del nostro paese. Negli ultimi anni era rimasto particolarmente colpito, ad esempio, dalla vertenza dell’ex Gkn, di cui mi chiedeva costanti aggiornamenti.
Credo sia giusto ricordarlo a partire dalla sua sterminata riflessione teorica, in particolare dall’argomento dello sciopero e della sua necessaria reinvenzione nell’epoca del capitalismo cognitivo. Partirò dal volume collettivo “Sindacalismo sociale. Lotte e invenzione istituzionali nella crisi europea” (a cura di A. De Nicola e B. Quattrocchi, DeriveApprodi 2016).
Per Negri lo sciopero è un’astensione dallo sfruttamento capitalistico che assume la forma di un attacco diretto alla valorizzazione capitalista. Si tratta sempre di un’azione volta a fare del male al padrone, una diserzione dal capitale. Tuttavia non è sempre uguale, perché il soggetto che sciopera e il comando capitalista sono storicamente determinati.
Oggi, davanti ai processi d’automatizzazione e l’affermazione del lavoro cognitivo, come dobbiamo trasformare lo sciopero? Bisogna partire dai processi produttivi che rendono sempre più “astratto” il lavoro e che sono figli di un’organizzazione cooperativa sempre più autonoma e determinata dal lavoratore ma parassitata dal capitale. Questa è una differenza decisiva rispetto ai processi cooperativi imposti dal padrone e analizzati da Marx. Il padrone diventa, progressivamente, una figura politica che vigila sull’estrazione del valore, e tenta di ingabbiare quegli algoritmi e quei linguaggi nati dalla cooperazione dei lavoratori.
In questo contesto emerge il concetto di sciopero sociale. Si tratta di una sottrazione dal lavoro in un contesto in cui il capitale parassita delle relazioni produttive create dal lavoratore. Scioperare, però, nel momento in cui si è sempre al lavoro perché tutta la nostra vita viene messa a valore, non può tradursi solo in questo modo. Negri afferma che bisogna recuperare quell’indipendenza propria di queste relazioni e anticipare un futuro libero dalla miseria e dal comando capitalista. Questo processo intreccia inevitabilmente la classica lotta per l’appropriazione di una parte del profitto e quella per modificare gli attuali modelli di riproduzione della società. In poche parole, oltre agli aumenti del salario bisogna tenere contro del welfare e della sua reinvenzione. Parliamo del terreno su cui si sviluppano proposte centrali per il nostro futuro, come un reddito universale di base.
In “Assemblea” (M. Hardt e A. Negri, Ponte alle Grazie 2018) chiarisce il concetto come segue: “Il sindacalismo sociale rovescia il rapporto tradizionale tra lotte economiche e lotte politiche, che costituiscono un’altra versione del rapporto tra strategia e tattica. Normalmente si considerano le lotte economiche e sindacali (specialmente quelle sul salario) come parziali e tattiche e quindi bisognose di un’alleanza e di una guida da parte delle lotte politiche guidate dal partito, che si pensava avessero un respiro strategico e complessivo. L’alleanza tra lotte economiche e politiche proposta dal sindacalismo sociale rimescola i compiti di strategia e tattica, dal momento che movimenti economici non si mettono in relazione con un potere costituito ma con un potere costituente, non con un partito politico ma con un movimento sociale. Una simile alleanza dovrebbe favorire i movimenti sociali consentendogli di appoggiarsi alla struttura organizzativa stabile e sviluppata del sindacato, dando alle lotte dei poveri, dei precari e dei disoccupati una portata sociale e una continuità che altrimenti non avrebbero. In cambio, l’alleanza non dovrebbe solo allargare la sfera sociale dei sindacati, estendendo le lotte sindacali oltre i salari e il luogo di lavoro per affrontare tutti gli aspetti della vita della classe lavoratrice, concentrando l’attenzione dell’organizzazione sindacale sulla forma di vita della classe, ma anche rinnovare i ‘metodi’ dei sindacati, permettendo alle dinamiche antagoniste dell’attivismo dei movimenti sociali di rompere le strutture sclerotiche delle gerarchie sindacali e le loro logore forme di lotta”.
Una riflessione molto utile per discutere insieme dei rapporti tra Cgil e movimenti, come avrebbe voluto Toni.