Alla fine Pedro Sánchez ha vinto la sua scommessa ed è riuscito ad attraversare lo stretto passaggio che lo ha portato alla formazione del suo terzo governo, grazie in particolare al raggiungimento dell’accordo con la formazione catalana di Junts per Catalunya.
Il 16 novembre scorso è stato rieletto presidente del governo con 179 voti a favore. Ma le incognite, interne e esterne alla maggioranza, non sono poche, e non sarà un percorso semplice quello che attende il leader socialista. Nonostante la fredda stretta di mano con cui il segretario del Partido Popular Feijóo ha formulato le sue congratulazioni dopo l’investitura parlamentare, l’intera destra spagnola gli ha dichiarato una guerra senza quartiere e senza esclusione di colpi.
Non va dimenticato che le dieci Comunidad autonome conquistate dal Ppe con le ultime amministrative, ora Sánchez se le troverà contro. Ma c’è di peggio. A fronte della madrilena Plaza de Cibeles riempita da una pacifica e, va detto, imponente manifestazione contro il governo e “contro l’amnistia” per gli indipendentisti catalani detenuti, si assiste ormai da giorni e giorni a quotidiani assalti squadristi contro la sede nazionale del Psoe di Madrid. Le immagini mandate in diretta dal canale televisivo di Stato Tve mostravano la violenza scatenata da folti gruppi di giovani fascisti contro la storica sede di Calle Ferraz e contro le forze dell’ordine.
Ma inquietanti segnali antidemocratici e sediziosi non provengono solo dalle piazze. Ci sono stati pubblici e espliciti pronunciamenti contro il varo del nuovo governo a guida socialista da parte di associazioni di magistrati e di ex militari; una cinquantina di questi hanno rivolto un pubblico appello alle forze armate perché scendano in campo per impedire la “dissoluzione” dello Stato spagnolo. Finanche l’ineffabile Conferenza episcopale spagnola si è sentita in diritto di intromettersi, dichiarando in conferenza stampa il suo mancato gradimento verso un governo a suo parere “divisivo”.
La destra del Partido Popular ripete pateticamente che le è stata scippata la vittoria elettorale. E il Ppe è certamente stato il partito più votato nel luglio scorso. Ma la vera “cifra” di questo partito la si è vista in Parlamento. Luogo dove ha dimostrato di non avere i numeri per un suo governo, ma anche luogo dove, nel corso del dibattito sulle differenti proposte per la formazione di una nuova maggioranza, il suo leader Feijóo ha tenuto un discorso che, a giudizio anche di opinionisti del suo stesso campo, anziché lanciare la sua investitura a premier ha evidenziato la pochezza e il corto respiro della proposta politica. Finché insisterà nell’abbraccio mortale coi neo-franchisti di Vox, nessuna altra forza politica, per quanto moderata, stringerà più alleanze coi popolari.
Piuttosto i moderati potrebbero rappresentare un elemento di difficoltà per lo stesso Sánchez. È bene ricordare che gli indipendentisti catalani di Junts (differentemente dai progressisti di Erc-Esquerra Republicana de Catalunya), a fronte di una radicalità sul tema dell’indipendenza della loro Comunidad, sono invece portatori di proposte di politica sociale a dir poco moderate, e ben lontane dai programmi avanzati già sviluppati dal precedente governo Sánchez, grazie alla presenza dinamica della sinistra di Sumar e della sua leader Yolanda Díaz. Discorso analogo lo si potrebbe fare per un’altra forza nazionalista della nuova maggioranza, quali i baschi del Pnv-Partido Nacionalista Vasco.
Un prossimo banco di prova saranno le richieste catalane al momento di discutere la nuova legge finanziaria, anche perché il Psoe una questione catalana ce l’ha anche al proprio interno, visto che il successo elettorale del Psc, il Partito dei Socialisti della Catalogna (organicamente federato al Psoe, ma indipendente), è stato determinante per il raggiungimento della maggioranza parlamentare. Un’altra spina nel fianco di Sánchez è rappresentata da Podemos. La formazione ‘morada’ è stata estromessa dalla composizione del nuovo governo, dopo contrasti e divergenze con la sinistra della coalizione Sumar. Probabilmente correrà da sola alle prossime elezioni europee, e si dovrà quindi attendere il prossimo giugno per comprendere l’effetto sul governo di questo ed altri “mal di pancia”.