Una legge di bilancio a perdere per i lavoratori dell’istruzione - di Raffaele Miglietta

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Il 17 novembre sciopero per l’intera giornata dei settori della conoscenza.

I contenuti che emergono dalla prossima legge di bilancio sono del tutto lontani dai bisogni del personale della scuola. Il triennio contrattuale 2022-24 del comparto Istruzione e Ricerca e, più in generale, dei settori pubblici volge al termine, e solo con questa legge di bilancio il governo ha finalmente deciso di occuparsi del necessario finanziamento. Il problema, però, è che le risorse che il governo intende stanziare sono ben lontane dalle esigenze oltre che dalle aspettative dei lavoratori interessati. Infatti, per i primi due anni del triennio contrattuale (2022 e 2023) è stata prevista la sola indennità di vacanza contrattuale, a cui si aggiunge un anticipo economico rispetto al 2024 elargito unilateralmente entro il prossimo dicembre a mo’ di strenna natalizia, e solo dal 2024 gli aumenti stipendiali. Senonché lo stanziamento per il rinnovo contrattuale previsto in legge di bilancio è ben lontano dal consentire ai lavoratori dell’istruzione (e del settore pubblico) di recuperare l’enorme perdita del potere d’acquisto del triennio: infatti a fronte di un’inflazione del periodo 2022-24 del 16,9% (a voler utilizzare l’indice più basso, ovvero l’Ipca depurata dei costi dei beni energetici importati), in legge di bilancio si dispongono solo 5 miliardi di euro che consentono aumenti retributivi medi del 5,8%. In pratica il governo intende predeterminare la perdita secca dei 2/3 del potere d’acquisto delle retribuzioni del personale. Più in concreto, a fronte di un’inflazione che nel triennio indicato peserà sulle retribuzioni dei lavoratori della scuola per oltre 5.000 euro medi (circa 400 euro al mese), il governo intende ristorare i lavoratori del comparto con appena 1.800 euro lordi (140 euro su base mensile).

Sempre più spesso sentiamo il ministro dell’Istruzione Valditara affermare che scopo primario della sua azione politica è quello di restituire dignità e valore al lavoro scolastico a partire dai docenti, ma i fatti dicono tutt’altro. I dati oggettivi dicono che siamo di fronte ad un impoverimento massiccio e diffuso di una categoria le cui retribuzioni sono ben distanti dalla media retributiva dei docenti degli altri paesi europei. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ocse “Education at a glance 2023”, lo stipendio al culmine della carriera di un insegnante italiano della scuola primaria è inferiore del 22,3% (circa 9.000 euro) rispetto a quello della media degli insegnanti a livello europeo dello stesso grado scolastico, è inferiore del 15,8% rispetto ad un docente della scuola media, e del 15,1% (circa 8.000 euro) rispetto ad un docente della scuola superiore. Non a caso negli ultimi anni - precisamente dal 2015 al 2022, sempre secondo i dati Ocse - mentre in Europa gli stipendi dei docenti in rapporto all’inflazione sono aumentati mediamente di 4 punti, nel nostro Paese invece sono diminuiti di altrettanti 4 punti.

L’inflazione ha ripercussioni evidenti e concrete sulle condizioni materiali di tutti i lavoratori poiché, come noto, se i salari nominali crescono meno dei prezzi ne consegue la riduzione della possibilità di accesso all’acquisto di beni e servizi. Inoltre il mancato recupero dell’inflazione da parte dei salari determina una redistribuzione del reddito a favore dei profitti, perpetuando e accentuando per questa via le enormi diseguaglianze sociali ed economiche presenti nel Paese.

L’inflazione, pertanto, per un Paese come il nostro privo di qualsiasi protezione automatica dei salari rispetto all’aumento dei prezzi, andrebbe combattuta con un forte intervento pubblico, che però oggi risulta del tutto assente da parte dell’attuale compagine governativa.

Questa situazione si aggrava per i settori pubblici i cui rinnovi contrattuali - che potrebbero agire a tutela dei salari - sono del tutto soggetti alla volontà politica e alla disponibilità economica del governo di turno. Non a caso i contratti vengono rinnovati “puntualmente” dopo la scadenza del triennio di riferimento (il Ccnl 2019-2021 del comparto Istruzione e Ricerca deve ancora essere firmato definitivamente in attesa della certificazione da parte del ministero dell’Economia!).

I ritardi nei rinnovi contrattuali e il mancato recupero dell’inflazione stanno determinando la progressiva svalorizzazione dei lavoratori della scuola, un settore che invece dovrebbe essere significativamente sostenuto e considerato in ragione dell’importanza che l’istruzione e la conoscenza rappresentano per le nuove generazioni e più in generale per il futuro dell’intero Paese.

 

Per tutto questo i lavoratori della scuola, insieme a quelli di università, ricerca e Afam aderiscono alla mobilitazione promossa dalla Cgil scioperando per l’intera giornata del 17 novembre 2023.

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