Si è conclusa felicemente la campagna di raccolta di firme per la legge di iniziativa popolare – elaborata da un folto gruppo di giuristi guidati dal prof Massimo Villone, presidente del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Cdc - di modifica degli articoli 116, comma terzo e 117, commi primo, secondo e terzo della Costituzione, così come venne improvvidamente modificata nel 2001, nel tentativo di tamponare le pulsioni scissioniste della Lega. Si tratta delle norme che rendono possibile l’attuazione della autonomia differenziata, in base alle quali erano state firmate le pre-intese con regioni del nord, come il Veneto, e sulle quali poggia il disegno di legge Calderoli, ora in Senato. Per sconfiggerlo realmente bisogna quindi cambiare quelle norme.
Il risultato ottenuto è considerevole, al di là delle aspettative, poiché l’obiettivo delle cinquantamila firme necessarie è stato più che raddoppiato. La maggioranza delle firme, oltre sessantamila, sono state raccolte sui tradizionali moduli cartacei, le altre quarantamila e più sono giunte per via informatica. Anche la distribuzione territoriale delle firme acquista un particolare interesse. Con qualche approssimazione possiamo dire che il 15% provengono dal nord, circa il 25% dal centro e il restante 60% dal sud. I numeri esatti verranno forniti all’atto della loro presentazione al Senato il 1° giugno.
A questo successo hanno contribuito diverse forze sindacali e associazioni, come la Flc Cgil, la Uil scuola, lo Snadir, l’Anpi, l’Arci, cui si sono aggiunte, particolarmente al sud, strutture territoriali della Cgil. Va segnalato in particolare il fattivo e concreto aiuto della Flai Cgil e delle compagne e compagni di “Lavoro Società”. Nel Mezzogiorno abbiamo avuto l’esplicito sostegno di centinaia di sindaci e di interi consigli comunali, come quello di Napoli.
Silenti invece quasi tutti i partiti, a cominciare dai maggiori, dell’opposizione. Ma questo risultato non sarebbe stato raggiunto senza l’attività dei comitati territoriali del Cdc che, oltre alla raccolta di firme, hanno organizzato decine e decine di dibattiti e incontri pubblici che hanno contribuito in modo decisivo a rompere il silenzio dei mass media e rivelare quali fossero i reali propositi dei proponenti l’autonomia differenziata, ovvero la “secessione dei ricchi”, la disarticolazione dello Stato unitario, la distruzione del welfare, la stessa messa in discussione del contratto collettivo nazionale di lavoro. Insomma l’aumento delle diseguaglianze e la diminuzione dei diritti. Va sottolineato che, pur in modo più ovattato, queste ultime sono anche le osservazioni critiche che la Commissione europea ha nei giorni scorsi avanzato nei confronti del Ddl Calderoli.
La distribuzione territoriale delle firme evidenzia come in particolare il sud si sia sentito colpito dal progetto governativo, e come l’opposizione alla autonomia differenziata abbia superato gli steccati delle aderenze partitiche, non solo tra le cittadine e i cittadini ma anche nel coinvolgimento di intere istituzioni locali. L’articolo 74 del regolamento del Senato, modificato pochi anni fa, impone che le proposte di legge di iniziativa popolare, le Lip, vengano discusse e non lasciate in cassetti polverosi. Le competenti Commissioni debbono iniziare l’esame della Lip entro e non oltre un mese dal deferimento e concluderlo entro tre mesi. Decorso tale termine, il disegno di legge è iscritto d’ufficio nel calendario dei lavori dell’Assemblea.
Abbiamo quindi la sicurezza che della discussione sull’autonomia differenziata venga investito in primo luogo il Parlamento, esattamente il contrario di quello che prevede il Ddl Calderoli che privilegia l’intesa fra lo Stato e le singole regioni, escludendo il parlamento se non in funzione di ratifica. Ma questo primo risultato non è ovviamente sufficiente, se nel paese non cresce quel movimento contrario all’autonomia differenziata che la raccolta delle firme ha contribuito a suscitare. Anche perché non è l’unico stravolgimento costituzionale che la destra vuole portare avanti.
L’altro tema è quello del presidenzialismo. Su questo le posizioni del governo sono ancora indeterminate. Punta al presidenzialismo all’americana o al semipresidenzialismo alla francese? Entrambi, come si è visto negli avvenimenti di questi mesi, hanno dato pessima prova di sé. Oppure Meloni, come sembrerebbe dalle ultime mosse, cerca di ottenere più consensi anche nel campo dell’opposizione (si pensi a Renzi per esempio) proponendo il premierato, ovvero l’elezione diretta del presidente del Consiglio? In ogni caso saremmo di fronte ad uno stravolgimento ancora più profondo della democrazia parlamentare prevista dalla nostra Costituzione. Da un lato la concentrazione del potere su una sola persona, dall’altro la disarticolazione dello Stato in tanti staterelli-regioni, in ogni caso con la liquidazione del ruolo del Parlamento.
Prepariamoci a una battaglia decisiva per la democrazia.