So che è poco popolare e che un dirigente politico-sindacale deve seguire quello che interessa e appassiona lavoratori e pensionati, ma ho smesso da tempo di interessarmi del calcio e di tifare per qualche squadra. Non è comunque questa la ragione per cui ho deciso di non seguire in alcun modo la Fifa World Cup 2022 in Qatar. Né la ragione è la mancata qualificazione della nazionale italiana (per la seconda volta di fila assente da un mondiale, questo lo so anch’io).
Il fatto è che questi mondiali non solo si svolgono in un paese “campione” per la negazione dei diritti umani - come a giorni alterni si degnano di dire i media mainstream – ma che tutto si fonda su un’immane strage di lavoratori migranti, provenienti dai paesi più poveri dell’Asia: più di 6mila lavoratori morti e migliaia infortunati, senza diritti, senza alloggiamenti decenti, spesso con paghe da fame, pochissimo cibo, prigionieri di un sistema schiavista, tra le decine di migliaia che hanno costruito gli stadi e le infrastrutture che oggi ospitano calciatori e tifosi.
La Confederazione mondiale dei sindacati (Ituc-Csi), nell’indifferenza quasi generale, ha denunciato l’insostenibile situazione almeno a partire da un decennio, quando appunto sono iniziati i cantieri delle grandi opere infrastrutturali. Cercando di richiamare alle loro responsabilità la Fifa e le federazioni calcistiche dei diversi paesi, come pure i club e i calciatori.
La stessa Cgil ha fatto pressioni sulla Figc a partire dal maggio del 2013, ottenendo infine nel settembre successivo una qualche risposta dall’allora presidente Giancarlo Abete. La Figc si è lavata la coscienza inviando una lettera del Consiglio Federale alla Fifa “affinché, nel rispetto della titolarità delle istituzioni locali e di quelle sportive, si ponga attenzione e ci siano tutte le opportune verifiche sulla situazione del Qatar relativa ai lavori di costruzione degli stadi”(...) “per garantire che le condizioni della qualificazione dell’impiantistica sportiva non vengano collegate a fenomeni che non siano di piena tutela dei diritti dei lavoratori”.
La Confederazione Internazionale dei Sindacati, la Bwi, Federazione mondiale dei lavoratori delle costruzioni, e la Cgil denunciavano già da tempo le condizioni semi schiavistiche dei lavoratori in Qatar. In particolare, i lavoratori edili lavoravano in media 15 ore al giorno, per 6 giorni settimanali, per un salario di 8 dollari al giorno; i lavoratori immigrati non potevano cambiare lavoro senza l’autorizzazione dei loro datori di lavoro; il fatto di lasciare un datore di lavoro, anche se per sfuggire a maltrattamenti, aveva come risultato la prigione o l’espulsione; gli infortuni mortali in campo edilizio sono stati otto volte più frequenti che, ad esempio, in Gran Bretagna, tant’è vero che il tragico bilancio finale è stato appunto di oltre 6mila morti.
Le notizie raccolte dai sindacati – e riportate solo da qualche importante organo di informazione internazionale, come il quotidiano inglese The Guardian – denunciavano una vera strage in atto nei cantieri. Invece la Fifa si preoccupava solo delle condizioni climatiche che i calciatori e gli spettatori avrebbero dovuto affrontare, se i campionati mondiali fossero rimasti programmati in estate.
La Bwi, a partire dal 2014, ha svolto diverse missioni a Doha con tanti incontri con lavoratori migranti, imprese, servizi ispettivi, ministri, comunità, avvocati, attivisti, giornalisti e tanti sindacalisti che erano lì da tutto il mondo. “Un lavoro impegnativo ma pieno di passione, la posta era altissima, rendere il lavoro di migliaia di persone più dignitoso e cercare di migliorare le loro condizioni. Forse il momento più alto e bello del mio lavoro sindacale – ricorda in un post Mercedes Landolfi, ex Dipartimento internazionale Fillea Cgil - sapendo che dopo il nostro intervento qualcosa sarebbe cambiato”. “Più di tutto ricordo i visi e gli sguardi di quei lavoratori, tutti migranti, vuoti, rassegnati e a volte persi, nelle lunghe file quasi da deportati all’aeroporto mentre arrivavano a Doha, senza troppi bagagli, piccole borse e nulla altro, i documenti in mano a poche persone che li organizzavano e conducevano, tutti giovanissimi”. Dormivano ammassati in baracche piccole e sporche, spesso senza acqua e con poco cibo.
Gli stadi di questi campionati mondiali di calcio trasudano sangue. Nessun evento per quanto importante può giustificare quanto accaduto!
Chi finge di accorgersi solo adesso di quanto è successo, e comunque manda avanti lo spettacolo e il business come niente fosse, è complice di questa immane strage, del sistema semischiavistico della “kafala”, della protervia di un emirato tanto ricco quanto oppressore di ogni diritto umano, dai lavoratori agli immigrati, dalle donne alle persone Lgbtqia+.
E' davvero una vergogna vedere pressocché tutti i governi del mondo, e in particolare quelli europei e occidentali, accettare questa situazione senza battere ciglio, continuando allo stesso tempo a sciacquarsi la bocca sulla difesa dei diritti umani!