Ora più che mai la Festa non si vende - di Federico Antonelli

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La campagna della Filcams Cgil “La festa non si vende” ha una storia che comincia nel 2010 e che nel corso degli anni non si è mai interrotta, rinnovandosi nel suo slogan, nella sua immagine e nelle sue argomentazioni.

Il decreto “Salva Italia”, scritto dal governo Monti tra gli interventi strutturali, considerati indispensabili per il rilancio del Paese, aveva inserito anche le liberalizzazioni degli orari commerciali. Da quel momento le catene commerciali hanno ampliato a dismisura i giorni di apertura dei propri negozi, arrivando a proporre anche la data del 25 Aprile come momento utile a fare acquisti. Questa scelta, oltre ad essere un obbrobrio politico e culturale, ha peggiorato la vita delle commesse e dei commessi, senza migliorarne la retribuzione o il contratto di lavoro. Part time assunti per lavorare solo nei giorni festivi e la riduzione delle maggiorazioni contrattuali, per le ore prestate in quelle fino ad allora rare giornate, sono due esempi degli effetti di quelle scelte.

Si è anche tentato di affrontare il tema dal punto di vista dei tempi delle città: la proposta di un modello sociale che rendesse i cittadini solo come consumatori era messo in discussione dalla nostra organizzazione sindacale, ma senza gli effetti sperati. Nel corso di diversi anni si era rafforzata l’idea della città sempre aperta, vitale e frenetica come in un film americano. La mia Milano in questo ne era pessimo esempio, con gli slogan che indicavano nell’esplosione del traffico un benefico sintomo, ed effetto, della ricchezza cittadina.

E’ arrivata poi la pandemia a rimettere in discussione questo modello e si è compreso che alcune logiche dovevano essere modificate: lo smart working e il timore dei contagi hanno per qualche tempo svuotato i centri storici, e i centri commerciali hanno subito una crisi profonda.

Naturalmente, passata la grande paura, il modello di sviluppo che ci vede tutti consumatori ha ripreso vigore, oggi i centri storici son tornati ad affollarsi e, anche se la crisi dei centri commerciali non sembra passata, gli acquisti restano l’attività preferita dagli italiani.

Quella della Filcams era ed è una campagna che mette al centro gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, che da questa foga consumistica non hanno guadagnato nulla. Ma oggi, visto che lo spettro della crisi energetica avanza, una nuova declinazione della nostra campagna diventa necessaria. In questi anni sono state molte le immagini utilizzate per proporre una diversa idea di commercio. Ora che il tema del risparmio energetico diventa una necessità, forse un provvedimento semplice, diretto e dall’effetto immediato visibile sarebbe quello della modifica di ogni normativa sulle aperture domenicali.

Per noi non sarebbe un percorso semplice: certamente il tema dell’occupazione sarebbe posto al centro del dibattito e strumentalizzato in modo pesante ed evidente, ma credo ci siano le argomentazioni per controbattere. La qualità dell’occupazione e la rimodulazioni delle abitudini commerciali, con diverse esigenze organizzative utili ad assorbire le ore di apertura perse, per esempio. La tutela dell’ambiente ed il risparmio delle risorse energetiche come idea forte, a sostegno del cambio di paradigma.

Questo intervento potrebbe essere accompagnato dall’idea della riduzione degli orari di lavoro che permetterebbero, loro sì, una diversa concezione dei tempi delle città: meno giornate di lavoro, meno giornate di apertura commerciali, meno spostamenti e diretto effetto sui risparmi economici ed energetici.

In queste settimane diverse aziende stanno proponendo o organizzando la riduzione dei giorni di apertura aziendale (a parità di orario purtroppo): nessuno ha il coraggio di proporre la riduzione delle aperture commerciali. In fondo parliamo sempre tanto di Europa ma questo modello è molto “americano” e molto poco “europeo”. Provate a farvi un giro in molte delle nostre moderne città europee. Potreste avere sorprese visitando paesi ricchi, che hanno fatto della corretta gestione delle proprie città o aree urbane una carta vincente in termini di salvaguardia ambientale, e salvaguardia del benessere e della ricchezza dei propri cittadini.

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