Scrittore, regista, attore, Ascanio Celestini ha un modo tutto suo, inconfondibile, di raccontare le cose. La sua visione del mondo è quella di un uomo di cultura, sia ‘alta’ che ‘bassa’, che rifiuta alla radice l’idea che le guerre siano un modo di risolvere le controversie internazionali. Lo ascoltiamo volentieri, come quando è sul palco di un teatro o negli spazi di una piazza.
- La guerra in Ucraina è stata derubricata a terza o quarta notizia, dopo la crisi del governo Draghi, la siccità, l’ondata di calore, però continuano ad esserci lutti e devastazioni che potevano essere evitate…
“Chi si occupa di politica molto spesso si occupa del partito, della Confindustria, della propria industria, ecc., ecc. Teoricamente, anche semanticamente, chi si occupa di politica dovrebbe invece occuparsi della polis, del luogo dove vivono le persone. Se fossimo saggi la guerra semplicemente non la faremmo, tantomeno la alimenteremmo. Ma prova a immaginare due politici, uno che dichiara di voler mandare armi in Ucraina e l’altro che invece le armi non le vuol mandare. Questa scelta implica l’impegno di poche ore, forse di qualche giorno. Mentre invece per cercare di arginare la deriva alla quale abbiamo condannato l’ambiente dove viviamo, nel senso di ecosistema, ci vogliono decenni. E tra dieci anni i politici che ci sono adesso faranno un altro mestiere, come fa un altro mestiere Walter Veltroni. Politici che magari vent’anni fa avevano un peso”.
- L’informazione sembra avere l’elemento saldato in testa.
“Prima cosa: i giornali non li legge quasi più nessuno. Piuttosto sono diventati una sponda per l’informazione. Mi spiego, se il Corriere della Sera pubblica un articolo importante, allora il pezzo rimbalza sui social, e il suo numero di lettori si moltiplica. Ma non perché siano aumentati quelli che leggono il Corriere, Repubblica, o altri quotidiani. Forse i lettori dell’Avvenire e del Fatto quotidiano, faccio nomi di giornali molto distanti fra loro, fanno eccezione. Anche la televisione funziona in questa maniera, cioè fa da sponda per moltiplicare le notizie. Ma ora arriviamo alla tua domanda, tu mi chiedi perché le ragioni della pace non trovano spazio adeguato nell’informazione. Perché sono molto più complesse. Può sembrare un paradosso, ma è molto più complicato cercare di spiegare perché siamo contro la guerra, piuttosto che esporre le motivazioni che invece questa guerra ti spingono ad alimentarla. È molto più vicino al codice barbaricino dire “se mi pesti un piede, ti do un cazzotto”. Occhio per occhio funziona meglio come messaggio. Anche se magari le stesse persone che dicono se entri dentro casa mia tiro fuori il fucile e ti sparo, un fucile in casa non ce l’hanno, almeno da noi in Italia. Negli Stati Uniti magari sì, lo hanno pure. La violenza è qualcosa di molto più sedimentato, profondo, è pervasiva. Bisogna prendere atto di una narrazione pulviscolare, permeante, che continuamente ci suggerisce di avere comportamenti più ostili nei confronti dell’altro perché alla fine ci faranno guadagnare qualcosa”.
- In una delle sue poesie contro la guerra, Bertolt Brecht scrisse che “l’unica terra che conquistano i soldati è di un metro e ottanta di lunghezza e due metri di profondità”.
«Io penso a quei milioni di ucraini che scappano, che sono già scappati anni fa. Scappano e basta. Non si sentono russofoni, ucrainofoni, non si preoccupano dei confini, scappano per salvarsi la vita. Milioni di italiani sono scappati all’estero per cercare un futuro migliore, se non per se stessi almeno per i figli. La maggior parte delle persone si comporta così, non si fa problemi ideologici. Ideologici, nel senso di pertinenti a una visione del mondo. Temo che dalla guerra non ne usciremo. La guerra è completamente nelle mani delle cosiddette forze in campo. Sta succedendo quello che è successo durante la Seconda guerra mondiale, quando i trattati di pace non valevano più niente. La diplomazia contava ben poco, anche la cosiddetta 'second track diplomacy' era inefficace, contava solamente conquistare territori. L’equilibrio raggiunto non era quello di Yalta, piuttosto dove erano arrivati con l’esercito, da una parte e dall’altra. Teoricamente stavano dalla stessa parte l’esercito sovietico e quello americano, però già agivano in virtù delle proiezioni per il futuro, dove sono riusciti ad arrivare hanno messo la bandierina e la terra è diventata loro. Ognuno adesso sta cercando di conquistare più terra possibile. Di fatto la guerra è tra Federazione Russa e Stati Uniti d’America. Solo che gli Stati Uniti fanno un passo indietro e mandano avanti i fanti ucraini. Forse arriveremo ad un equilibrio per cui tutti e due, da una parte e dall’altra si sentiranno in diritto di dire ‘abbiamo tenuto botta’, ‘abbiamo conquistato il giusto’”.
- Ascanio, l’Europa non avrebbe potuto giocare un ruolo in favore della pace, invece di contribuire attivamente all’invio di armamenti?
“Kennedy si mise d’accordo con Krusciov trattando sui missili che stavano in Turchia. ‘Tu ti riprendi i missili e io li tolgo dalla Turchia’. Premesso che gli Stati Uniti non correvano alcun rischio neppure allora, con il senno del poi fu un atto di coraggio da parte di entrambi. Peccato che nel giro di poco tempo Kennedy sia stato ammazzato, e Krusciov prepensionato. L’Europa è un protettorato degli Stati Uniti, non una colonia vera e propria. E il fatto di essere un protettorato non è una condizione del tutto sfavorevole. Fin quando gli Stati Uniti considereranno l’Europa strategicamente un giardino che deve essere preservato, saremo più sereni”.
- Pieni di basi americane, felici e contenti?
“Forse questa era l’occasione per avere una politica autonoma. Il problema è che l’Europa non è forte sulla politica internazionale perché gli Stati non sono forti. La Spagna sono due paesi. La Germania ha il problema storico dell’impossibilità di sovrapporre stato e nazione. La Svizzera non si sa bene che cosa è, parlano tre lingue diverse. L’Italia è uno degli Stati che riesce a sovrapporre stato e nazione: si parla italiano, tutti quelli che parlano italiano stanno all’interno dei confini del paese. Poi c’è questo esempio straordinario di partito che è la Lega, fino all’altro ieri era secessionista, nel giro di venti minuti è diventata un partito nazionalista. E gli elettori hanno continuato a votarlo, anzi lo hanno votato ancora di più”.
- Premesso che l’Ucraina è stata aggredita dalla Russia … oggi per poter parlare in tv bisogna sempre iniziare il discorso così.
“Prima cosa da ricordare è che i buoni e i cattivi, ammesso e non concesso che ci siano delle persone completamente buone e delle persone completamente cattive, non sono distribuiti tutti da una parte o tutti dall’altra. Pensavamo di avere imparato dal novecento, in realtà anche dall’ottocento, che le vittime sono le classi subalterne. E che quindi, se proprio c’è una guerra da fare, è nei confronti delle classi dominanti. Sono cattivi tanto Putin quanto Zelensky, i buoni sono i poveracci che si prendono le cannonate da una parte e dall’altra. Se poi parliamo di stupri, violenze, non facciamo altro che raccontare quello che è la guerra. I buoni e i cattivi probabilmente esistono, ma sono da entrambe le parti. I luoghi dove si sono svolte le più violente battaglie della Prima guerra mondiale sono ancora oggi distrutti. E stiamo parlando di più di cento anni fa. Noi stiamo alimentando una cosa insensata. Spesso mi chiedono: ‘E quindi? Gli ucraini dovrebbero arrendersi?’. Rispondo che dovrebbero consegnare le armi, anziché chiederle. Scegliere a chi consegnare le armi. Non è detto che sia sensato consegnarle ai russi. Potrebbero darle, che so, ai moldavi, ai rumeni, al Vaticano. Decidere nelle mani di chi mettere la propria scelta di pace”.
- Papa Francesco è infaticabile nel denunciare la follia della guerra, di ogni guerra. Eppure continuano a non ascoltarlo.
“Papa Francesco ha detto le cose che diceva Aldo Capitini. In ‘Fratelli tutti’ se non sbaglio ha scritto che non è possibile parlare di guerra giusta. Negli ultimi secoli abbiamo sbagliato ad appoggiare delle guerre pensando che fossero giuste. Parole che dice anche Alex Zanotelli. I conflitti che non ci sono stati, le guerre che non sono scoppiate, sono state le grandi vittorie. La vittoria della non violenza non è tanto quella di fermare la guerra, quanto riuscire a non farla scoppiare. In India, e in Sudafrica, non c’è stata una rivoluzione violenta, c’è stata una rivoluzione non violenta. Questo non significa che la non violenza produca un mondo perfetto, il mondo è imperfetto lo stesso. Ma in India sarebbe potuta essere una carneficina mostruosa, un genocidio, invece non c’è stato. Penso che il 24 febbraio scorso molti di noi siano rimasti sbalestrati, impietriti. Non sapevamo che dire. Possibile che dopo tutta questa sporcizia che abbiamo visto, conosciuto nel corso degli ultimi dieci anni, ancora crediamo che sia possibile la guerra giusta? Ieri con mio figlio stavamo vedendo un documentario americano nel quale lo statunitense dice: “Ho servito il mio paese in Vietnam”. Lì per lì fa un po’ ridere: perché in Vietnam? Non lo potevi servire in Oklahoma il tuo paese? Come se io italiano dicessi ‘ho servito il mio paese in Norvegia’. Non potevi andare in Molise per servire il tuo paese?”.
- Riusciremo ad andare in pace?
“Francesco Bergoglio ha detto: “Oggi, con gli ordigni nucleari, termonucleari, non possiamo parlare di guerra”. Non ha alcun senso prendere le armi. Lo ha detto Capitini negli anni cinquanta e sessanta, lo ripete Papa Francesco. È una cosa talmente ovvia che non dovremmo nemmeno discuterne. E invece stiamo lì a parlar di una 'no fly zone' che potrebbe portare a un conflitto diretto fra Stati Uniti e Federazione Russa. Allora non la facciamo, però mandiamo missili. Nel frattempo Elon Musk spara i suoi satelliti nello spazio per dare la possibilità agli ucraini di comunicare con quelli dell’Azov anche da sottoterra, un genio …”.