L’esempio dell’arcivescovo sudafricano nelle parole di Vincenzo Curatola.
Ci sono nomi che basta pronunciare per evocare pagine di storia. Quelli di Nelson Mandela e Desmond Tutu sono indissolubilmente legati alla lotta contro l’apartheid, una battaglia civile che dal loro natio Sudafrica divenne patrimonio dell’intera umanità. A poche settimane dalla scomparsa dell’arcivescovo anglicano, ne ricordiamo la vita e le opere con Vincenzo Curatola, che oggi è il presidente del Centro antirazzista e sui rapporti Italia/Sudafrica “Benny Nato”, da sempre in prima linea per combattere le discriminazioni dovute al colore della pelle.
- Il centro Benny Nato - intitolato a Henry Benny Nato de Bruyn, esule in Italia e rappresentante dell’Anc di Nelson Mandela - ha realizzato una mostra itinerante di 100 pannelli, ‘Il Sudafrica e il sostegno italiano alla lotta contro l’apartheid’.
“Il centro Benny Nato nasce dal coordinamento nazionale anti apartheid, un luogo di incontro per tutte le organizzazioni che dagli anni Sessanta alla fine del secolo scorso, alla liberazione di Mandela hanno lottato contro il razzismo, ognuna con le sue specificità per sensibilizzare l’umanità su una piaga insopportabile. La storia recente del Sudafrica ha una doppia valenza: da un lato vediamo la lotta di un popolo che riesce a vincere il razzismo, in parallelo una solidarietà internazionale che ha superato ogni barriera. Purtroppo il razzismo c’è ancora, in tante forme e in tanti paesi, compreso il nostro. In Sudafrica era stato addirittura istituzionalizzato, inserito in Costituzione, diritti diversi in base alle etnie e ai territori. La vittoria del popolo sudafricano è anche l’affermazione che il razzismo si può sconfiggere. E alla solidarietà delle associazioni, del sindacato, delle forze politiche, della società civile si è unito il boicottaggio ufficiale deciso dalle Nazioni Unite, anche se qualche paese non lo ha applicato. Un boicottaggio economico, sportivo, culturale, che ci ha permesso di dare ancora più forza alla nostra mobilitazione. Oggi il Centro Benny Nato collabora alle iniziative antirazziste sul territorio, in particolare nelle scuole, mettendo a disposizione i cento pannelli della nostra mostra, le testimonianze dei principali protagonisti nel Movimento anti apartheid italiano. Per superare i problemi legati alla pandemia ci siamo anche attrezzati per visite virtuali, on line”.
- Desmond Tutu è morto il 26 dicembre a Cape Town, aveva 90 anni, spesi nella difesa dei diritti inalienabili di tutti gli esseri umani, un’opera che l’ha portato nel 1984 a ricevere il premio Nobel per la pace.
“Desmond Tutu è stato un personaggio fondamentale nella lotta contro l’apartheid. Dava voce alle sofferenze e alle richieste della popolazione nera, è riuscito a coinvolgere e a convincere la sua chiesa a cambiare posizione. Anche le chiese in Sudafrica avallavano l’apartheid, sostenendo che il razzismo era accettato dalla stessa Bibbia. Un’interpretazione contro cui si è battuto Desmond Tutu, che è riuscito a far schierare le istituzioni religiose, compresa quella cattolica, contro l’apartheid a sostegno dei diritti della popolazione nera”.
- L’apartheid è stata sconfitta, il razzismo ancora no.
“Il coordinamento nazionale anti apartheid si è trasformato in un centro culturale per tenere alta la guardia contro ogni razzismo, per conservare la memoria di quello che è successo in Sudafrica ma anche del vasto movimento che c’è stato in Italia. Dopo quello partigiano, il movimento anti apartheid è stato il più vasto movimento che ha coinvolto la società italiana. Anche questo non va dimenticato”.
- Come è nata la sua passione per il Sudafrica?
“Finiti gli studi di Economia e commercio entro a lavorare in banca. Dalle ricerche internazionali, soprattutto inglesi e svizzere, scopro i rapporti di banche e finanza con il regime razzista sudafricano. Da sindacalista mi sono impegnato per sensibilizzare i miei colleghi e le mie colleghe, e più in generale il macrocosmo del credito, sull’apartheid. Volevamo che le banche bloccassero i finanziamenti all’industria sudafricana, rispettando la presa di posizione delle Nazioni Unite. Non è stato semplice, all’inizio i dirigenti facevano muro. Poi la spinta di una clientela sempre più consapevole che decideva di interrompere i rapporti con questa o quella banca, in parallelo alle nostre proteste, ha favorito la trattativa per l’uscita del settore del credito dagli affari del governo sudafricano. Insomma siamo riusciti a vincere, in molti casi, questa battaglia civile”.
- Oggi anche i campioni dello sport, i protagonisti delle spettacolo, sono in prima linea nella battaglia civile contro il razzismo, seguendo la lezione di Desmond Tutu.
“Si impegnano perché il razzismo esiste ancora. Non in forme così eclatanti come accadeva in passato, ma esiste. Non so darmi pace del fatto che non basti nascere in Italia per essere cittadini italiani. Invece chi nasce in Sudafrica è cittadino sudafricano, lo dice la Costituzione. Pensa un po’. Questa battaglia dobbiamo ancora vincerla”.