Dopo due anni dalle prime escussioni, svolte il 5 e 6 novembre del 2019, il giudice delle indagini preliminare Teresa De Pascale ha deciso di condannare Giuseppe Moltini, uno dei responsabili di Flash Road City, società intermediaria di Uber, a 3 anni e 8 mesi. Gloria Bresciani, la manager di Uber, ha invece scelto il dibattimento, la cui prima udienza si terrà nelle prossime settimane. I lavoratori individuati dal tribunale e coinvolti nel giro di caporalato sono 44, ai quali è stato riconosciuto un indennizzo di 10mila euro a testa, grazie al sequestro di 500mila euro, somma detenuta dalla società in contanti.
Viene confermata quindi la condanna per caporalato e intermediazione illecita: l’attività in questione vedeva il reclutamento di lavoratori che versavano in un importante stato di bisogno; dalle carte del tribunale si evince che i testimoni risiedevano presso un centro di accoglienza per richiedenti asilo con permessi di soggiorno temporanei, pertanto fortemente ricattabili.
È importante sottolineare che la tipologia di permessi di soggiorno che vengono concessi sono in molti casi permessi “speciali” (ex permessi umanitari), che talvolta, per via della loro temporaneità, hanno la necessità di essere convertiti in permessi di soggiorno collegati all’attività lavorativa.
L’attività lavorativa veniva svolta dai lavoratori tramite l’app di Uber Eats ma l’effettiva retribuzione era erogata dall’intermediario Flash Road City, il quale, indipendentemente dall’effettivo valore della consegna assegnato dalla stessa piattaforma, erogava ai rider solo tre euro, indipendentemente dalla distanza percorsa e dalle condizioni meteorologiche.
Oltre alla retribuzione a cottimo, e alla riduzione sistematica delle retribuzioni rispetto a quelle assegnate tramite app, l’intermediario applicava talvolta strumenti punitivi che consistevano nella decurtazione di parte del compenso qualora i lavoratori non si fossero attenuti in maniera “precisa” agli ordini impartiti dai loro caporali.
Questa situazione di estrema illegalità si inseriva in un sistema già fortemente precario che vedeva i rider assunti direttamente da Uber, o da altre piattaforme simili, essere comunque retribuiti a cottimo, con retribuzioni mediamente più alte, ma senza che ci fosse un minimo garantito e con una forte disparità retributiva tra lavoratore e lavoratore.
Il tema principale che come organizzazione sindacale abbiamo sempre portato avanti è quello dell’applicazione di una corretta forma contrattuale. Il sistema attuale vede ancora oggi buona parte delle piattaforme operanti nel settore del food delivery applicare impropriamente forme autonome di contratto; questo avviene nonostante le numerose sentenze intercorse in questi anni, e con una ormai palese organizzazione del lavoro che applica una forte eterorganizzazione che, nell’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa, impone ritmi di lavoro precisi, costituendo quindi indici che possono facilmente essere ricondotti a un lavoro subordinato.
Per la Cgil è chiaro come ci sia la necessità di garantire una reale regolamentazione del settore. Su questo solco la Camera del Lavoro di Milano, insieme agli altri sindacati confederali, è stata la prima a sottoscrivere un accordo anticaporalato, firmato il 6 novembre 2020, che inserisce vincoli ben precisi per garantire il contrasto all’intermediazione illecita, obbligando le piattaforme ad istituire un organo di garanzia interno che debba comunicare trimestralmente i dati alle organizzazioni sindacali all’interno di un tavolo permanete presso la Prefettura. L’accordo è stato successivamente mutuato anche a livello nazionale.
La partita è ancora lunga, in campo sono infatti presenti due temi fondamentali: il primo è quello della salute e sicurezza, il secondo riguarda invece la gestione dei dati individuali che vengono prodotti e raccolti giornalmente dall’algoritmo. Questi temi, indipendentemente dalle rivendicazioni portate sul piano contrattuale, ci devono trovare oggi protagonisti.
Se da un lato siamo stati in grado di schiacciare le piattaforme con la battaglia vertenziale, che ci vede primi a livello europeo ad aver ottenuto vittorie importanti come la sentenza di Palermo nei confronti di Glovo che ha visto il riconoscimento del lavoro subordinato, e quella di Bologna che riconosce la condotta discriminatoria dell’algoritmo utilizzato da Deliveroo; dall’altro lato dobbiamo essere in grado di innovare la nostra azione sindacale sulle tematiche dalle quali le piattaforme non possono sottrarsi, come appunto la sicurezza sul lavoro e la protezione di dati.