APienza, lì dove tutto è nato, sono rimaste solo in tre a lavorare. E le vogliono mandare a casa. Non si sa quale dio abbia travolto la mente del management di Bottega Verde, che dopo essere diventata una delle aziende leder del settore bio-cosmetico ha deciso di chiudere il suo primo negozio. Un negozio di erboristeria che Paolo Lavino mise in piedi mezzo secolo fa nel cuore della Toscana, in una di quelle piccole cittadine - il Comune conta solo 2.000 abitanti - che hanno letteralmente stregato i turisti europei più danarosi, in particolar modo tedeschi, inglesi, olandesi. Incantati da un territorio come la Val d’Orcia, che sembra essere stato disegnato dal grande architetto dell’universo in un momento in cui era particolarmente di buon umore. Per rendere l’idea, basta pensare che di lì a pochi chilometri c’è la frazione di Monticchiello, dove ha preso corpo la peculiare esperienza del teatro in piazza, con protagonisti i suoi abitanti.
Dal 1972 la piccola erboristeria rilevata dalla famiglia Lavino ne ha fatta di strada: puntando sul saper fare italiano si è messa a produrre e commercializzare cosmetici a base naturale, ottenendo un successo con la esse maiuscola. Tanto che oggi Bottega Verde formula, produce e distribuisce i suoi prodotti attraverso la prima catena di cosmetica monomarca in Italia. Ha 400 negozi, e ha davvero dato un nuovo senso alla frase ‘dal produttore al consumatore’.
In questo contesto, chiudere il piccolo negozio da cui tutto è partito non sembra avere un gran senso, anche per i non esperti (come chi scrive) di marketing. Michele Trabalzini non se ne dà pace: “Hanno usato il fascino e la bellezza di questo territorio come volano per avviare un’impresa che oggi conta migliaia di dipendenti. Solo negli ultimi anni, Bottega Verde ha vinto premi su premi, da quello per il miglior sito e-commerce italiano, al riconoscimento per il più prestigioso marchio del settore. Ma evidentemente quando si tratta di profitto si finisce per non guardare in faccia nessuno”.
Sul sito internet di Bottega Verde appaiono foto di Pienza con paesaggi mozzafiato, bellissimi, dove la natura trionfa. Ma dal virtuale al reale, si sa, tutto può cambiare. “Si tratta di un esempio da manuale di utilizzo improprio del nome, dell’ambiente, del prestigio di Pienza a fini economici. Infischiandosene delle persone e della loro dignità”, rimarca Trabalzini. Il sindacalista della Filcams Cgil di Siena ricorda altre battaglie in difesa del lavoro, ad esempio quando undici anni fa il colosso della bio-cosmesi decise di punto in bianco di chiudere il call center con trentadue addette. “Bottega Verde non è nuova a comportamenti del genere - tira le somme - in risposta allora facemmo sciopero, manifestammo cantando, parafrasando un brano di Ligabue. Invece di ‘una vita da mediano’ intonavamo ‘una vita nel call center’. La protesta ebbe molto clamore, finì su giornali e tv, ma il management di Bottega Verde tirò dritto. Poco tempo prima avevano proposto ad alcune lavoratrici di trasferirsi in Romania per insegnare il mestiere alle loro coetanee romene. Solo perché là il lavoro costa meno”.
L’ultima cartolina da Pienza è di pochi giorni fa, ritrae le tre dipendenti davanti al piccolo, delizioso negozio da cui tutto ebbe origine, con ben in vista il cartello ‘chiuso per sciopero’. Alle loro spalle si intravedono le creme, le essenze, i trucchi e tutti gli altri prodotti che connotano un brand, un marchio, conosciuto e apprezzato da generazioni di donne e di uomini. “Le speranze di trovare un nuovo posto di lavoro - sottolinea Trabalzini - sono poche. L’eventuale ricollocazione ipotizzata dall’azienda, probabilmente un bluff, potrebbe consistere, ma prima due aziende devono trovare un’intesa, in un’assunzione per alcuni mesi all’anno da parte di una terza azienda collegata anch’essa alla casa madre, che comunque dovrà fare una selezione per decidere chi prendere e chi scartare. Sembra uno scioglilingua, ma è proprio così, una situazione davvero kafkiana. Passi il profitto, passi l’uso improprio del territorio ai fini commerciali, passi pure la mancanza di correttezza e la caduta di stile dell’azienda, ma il sindacato non permetterà mai di calpestare la dignità di persone che per vivere hanno bisogno di lavorare”.
Sembra che Bottega Verde abbia proposto anche un trasferimento nel punto vendita di Bologna, inutile dire che per chi ha cinquant’anni e una vita costruita a Pienza si tratta di un’alternativa irricevibile. È stata fatta anche una petizione dalla Filcams Cgil per sostenere le combattive lavoratrici dello storico punto vendita, la cui chiusura è prevista in agosto. “Noi comuni clienti, lavoratrici, lavoratori, pensionate, pensionati, semplici cittadini - si legge - chiediamo alla Dirigenza di Bottega Verde di rinunciare alla chiusura dello storico, primo negozio pientino nato negli anni ’70 del secolo scorso ...”. Firmate, firmate, firmate.