Il Tribunale di Arezzo assolve De Benedetto. Mentre la legge sulla cannabis terapeutica resta disattesa.
I processo che si è svolto poche settimane fa ad Arezzo, che vedeva Walter De Benedetto imputato per aver coltivato piante di cannabis, si è concluso con la sua assoluzione. In molti, nelle ore e nei giorni immediatamente successivi alla sentenza, hanno scritto su questa assoluzione: Walter, affetto da una grave forma, molto invalidante, di artrite reumatoide, rischiava fino a quattro anni di carcere, ma i giudici hanno stabilito che il fatto non sussiste.
È la giusta, anche se tardiva, conclusione di una vicenda che ha i contorni dell’oscurantismo: a quindici anni dall’introduzione nella normativa dell’utilizzo medico della cannabis, la legge del 2006 è ancora in larghissima parte disattesa, oltre che applicata in maniera anche profondamente difforme nelle varie regioni. Inoltre la sentenza, essendo per sua natura riferita ad un singolo e specifico caso, non produce automaticamente una soluzione per tutti i malati, tanti, che ad oggi hanno ancora molte, troppe, difficoltà sia a trovare medici che prescrivano la cura con la cannabis, sia a potersi rifornire del farmaco, vista la produzione limitata e le conseguenti difficoltà nell’approvvigionamento.
Questo è quindi un risultato sicuramente importante. Ma ancora una volta, nel nostro Paese, è la magistratura e non la politica a prendere una decisione al riguardo, in assenza ancora di una chiara normativa che finalmente depenalizzi l’uso personale di cannabis, e ne riconosca l’utilizzo terapeutico, come sancito anche dall’Onu lo scorso dicembre (vedi https://www.sinistrasindacale.it/index.php/periodico-sinistra-sindacale/numero-01-2021/1819-cannabis-terapeutica-passo-avanti-all-onu-e-in-italia-di-denise-amerini), garantendo a tutti i malati l’accesso alle cure.
Una grande responsabilità in tutto questo è anche del ministero della Salute, che con un decreto del settembre scorso ha inserito fra le sostanze stupefacenti i farmaci a base di Cbd, nonostante le raccomandazioni dell’Oms che dichiarano tale sostanza non psicoattiva. Raccomandazioni alle quali ha fatto poi seguito la citata risoluzione Onu del 2 dicembre 2020, che ha riclassificato la cannabis spostandola dalla tabella 4, la più restrittiva, in tabella 1, riconoscendone pertanto il valore terapeutico.
Il decreto del ministero è stato sospeso grazie alla mobilitazione di tante organizzazioni e associazioni da sempre attente ai temi del diritto alla salute e alle cure, compresa la Cgil, che hanno rivolto un appello diretto al ministro. Ma, ad oggi, è ancora soltanto sospeso, in attesa di un parere dell’Istituto Superiore di Sanità e del Consiglio Superiore di Sanità. Deve invece essere definitivamente ritirato. È un decreto che non tiene conto delle evidenze scientifiche accumulatesi in tutti questi anni, che impedisce di fatto a tante persone l’accesso alle cure con preparati a base di cannabidiolo, di cui è dimostrata l’efficacia. Anche la decisione assunta dalle Nazioni Unite, per la prima volta, tiene conto delle raccomandazioni del mondo scientifico e non delle istanze politiche degli Stati membri.
Deve essere incrementata la produzione nazionale, anche con il coinvolgimento di ulteriori realtà rispetto all’Istituto Farmaceutico Militare, e deve finalmente essere normata l’autoproduzione. Abbiamo già avuto modo di dichiarare come le risorse, stanziate nella legge di bilancio 2021 per garantire la disponibilità di cannabis ad uso medico, siano un passo avanti, ma ancora del tutto insufficiente per coprire il reale fabbisogno.
Anche in Italia è ormai tempo che si giunga ad una legge che regolamenti l’utilizzo terapeutico e ricreativo della cannabis, come sta ormai avvenendo in tante nazioni nel mondo. C’è bisogno di una legge che riformi il testo unico sugli stupefacenti (la legge 309/90), e c’è l’assoluta necessità che venga finalmente convocata la conferenza nazionale sulle droghe, prevista per legge con cadenza triennale ma che manca ormai dal 2009. Conferenza che rappresenta la sede dove discutere delle politiche sulle droghe e sulle sostanze. E che, proprio per questo, deve prevedere la partecipazione attiva della società civile. La ministra Dadone si è impegnata in tal senso, è indispensabile che proceda con la convocazione nel più breve tempo possibile.
Legalizzare la cannabis è un atto di civiltà, i tempi sono maturi per farlo, come ci dimostrano le esperienze, positive, dei tanti Paesi dove si è legiferato in tal senso.