Dal 12 al 16 dicembre, ad un anno esatto dallo sciopero contro il governo Draghi, Cgil e Uil sono tornati in piazza contro una manovra di bilancio neoliberista. Una manovra in continuità con le politiche di Draghi, accentuata dal disegno che via via si sta affermando con un ulteriore impoverimento del sistema di stato sociale universale, consegnando briciole all’assistenza (briciole che comunque vengono compensate con tagli pesantissimi come quelli all’erogazione del reddito di cittadinanza) e a scapito delle sue fondamenta lavoristiche. Con una politica fiscale che incoraggia il ricorso al lavoro autonomo a scapito del lavoro dipendente, dando ai singoli l’illusione di essere più liberi e di guadagnare di più. Mentre invece si creano le premesse per una voragine nel Sistema sanitario nazionale e nelle politiche di sostegno al reddito nei periodi di non lavoro, con un attacco al futuro previdenziale e, sopra ogni cosa, ai diritti sul lavoro.
L’intervento del governo con la mancata perequazione delle pensioni (la cosiddetta scala mobile) che ha beffato milioni di ex operai, impiegati, insegnanti, sanitari, sia del settore pubblico che privato nella fascia di età più alta, è a pieno titolo parte di questa politica. I sindacati dei pensionati e le confederazioni avevano riconquistato questo meccanismo (del 2001), ma già era stato ridotto con più successivi interventi, per essere sospeso nel periodo 2012-2015 e accantonato nel 2015. Una sentenza della Corte Costituzionale riaprì la partita, ma la politica non si è mai arresa: dal 2018 al 2021, nuovi interventi riduttivi e, soprattutto, mancata erogazione delle somme dovute.
L’ultima beffa è stata l’emanazione del decreto attuativo e l’annuncio in pompa magna sui giornali della rivalutazione (parziale per tutti e ridotta comunque per le pensioni più alte) a tre giorni dalla decisione di intervenire, negandola di nuovo al grosso delle pensioni da lavoro dipendente e facendo di un provvedimento previdenziale, che restituisce il valore dei contributi versati, un provvedimento assistenziale di natura caritatevole, usando i soldi tolti ad altri poveri come i percettori di reddito di cittadinanza. E a rischio sono anche in prospettiva le risorse strappate per l’autosufficienza!
La politica del governo tende a disarticolare la protesta dei lavoratori contrapponendo pensionati a lavoratori attivi, pensionati con la minima a pensionati con pensione media (la principale risorsa finanziaria del welfare familiare), lavoro dipendente in qualsiasi condizione a lavoro autonomo povero o subordinato.
La risposta – come dimostra la settimana di lotta - deve essere generale, anche perché è l’unica forma di lotta capace di parlare ai milioni di lavoratori, cittadini, ragazze e ragazzi che non hanno, nella società complessa contemporanea e nella precarietà dilagante delle condizioni di vita e di lavoro, i luoghi ove manifestare il proprio disagio e la propria rabbia che non siano le strade e le piazze, sperando di “bucare” il sistema dei media. E deve essere articolata, perché le cose complesse vanno spiegate e tutti i settori motivati. Non c’è contraddizione dunque tra le iniziative categoriali – tanto più di ampio respiro confederale come quella dello Spi di venerdì 16 dicembre – o come quelle specifiche intraprese in alcuni settori pubblici o nella prosecuzione delle agitazioni contrattuali.
La Cgil deve rimanere - e rimarrà, come credo il Congresso confermerà appieno - un sindacato confederale di classe. Capace di tenere assieme tutti i segmenti del lavoro. Con l’auspicio che presto, per rafforzare il legame tra la nostra gente, il sindacato dia vita ad una grande manifestazione nel Mezzogiorno, per la difesa e la riforma del reddito di cittadinanza, per il diritto alla salute, all’istruzione e al lavoro, e per l’autosufficienza, contro il progetto anticostituzionale di autonomia differenziata. Per l’Italia, una e democratica.