Il 19 dicembre il Papa riceverà in udienza il segretario generale della Cgil accompagnato da una folta delegazione di sindacalisti. Alcuni la ritengono una falla nella laicità del sindacato.
Il concetto di laicità è spesso deformato, quindi è opportuno precisare di cosa si parla. Il principio di laicità, riassumibile nella frase di Grozio “etsi deus non daretur” (come se dio non fosse dato), invita a gestire la sfera pubblica senza presupporre verità dogmatiche, religiose o politiche. La chiesa cattolica e tutti i papi pretendono invece di essere presenti nella sfera pubblica, non in quanto liberi cittadini ma in quanto portatori di una verità rivelata, iscritta nella “natura”, creata da dio e interpretata dalla chiesa. Quindi una verità assoluta che precede e sovrasta l’autodeterminazione dell’umanità, degli uomini e (ancora più) delle donne.
L’adesione alla religione sta diventando per molti cattolici “a bassa intensità”. Bergoglio ha sostituito Ratzinger perché, in epoca di populismi, grazie alla sua ‘teologia del pueblo’ nata nell’ambiente del peronismo argentino, garantiva una maggiore presenza sulla scena pubblica e nella comunicazione di massa, senza cambiare di una virgola la dottrina. E così è stato.
In altri termini Bergoglio sta facendo bene il suo mestiere occupando il vuoto politico lasciato dalla crisi del pensiero socialista; è sostenuto dagli “atei devoti” dell’establishment che hanno riscoperto la funzione di controllo sociale esercitata dalle religioni e, con qualche distinguo superficiale, dalla destra che rivendica le radici cristiane dell’Europa.
Per chi difende la laicità dello Stato il problema non è tanto il Papa, ma il credito che gli viene riconosciuto dalle sinistre postmoderniste (“radicali” e blairiane) che non sanno più distinguere il marketing dalla strategia, che si lasciano affascinare da frasi isolate, proprio perché hanno perso la capacità di ricomporre i frammenti in un pensiero organico, in una visione del mondo di tipo socialista, in una speranza per un futuro egualitario. Peraltro classificare un papa sull’asse destra/sinistra è operazione sgradita al Papa stesso, e discutibile perché isola e assolutizza singoli gesti.
Dunque la chiesa ha interesse a dialogare con rappresentanze politiche e sociali di destra e di sinistra. Vale anche l’inverso? I sindacati sono stati indeboliti da decenni di svalutazione (economica e culturale) del lavoro, dalla segmentazione e precarizzazione del mercato del lavoro. La Cgil non ha più una stabile sponda politica; diversamente da altre nazioni europee dove, seppure in crisi, permangono legami tra sindacati e partiti socialdemocratici, in Italia non c’è più da tempo un partito pro labour degno di questo nome. Molti iscritti hanno votato il governo di destra, e l’opposizione è complessivamente debole.
La Cgil deve rompere l’isolamento, mantenendo la sua autonomia; fa bene a partecipare all’udienza del 19 cogliendo l’occasione del credito mediatico che di fatto circonda la figura di Papa Francesco. Il rischio che perda la sua laicità non è del tutto assente, ma non deriva dall’udienza, se vi parteciperà con dignità e sobrietà; semmai dal vuoto politico della sinistra (compresa una parte del gruppo dirigente della Cgil) che ha accettato o comunque non ha saputo opporsi alla sanità convenzionata, alla scuola paritaria, all’esternalizzazione dei servizi scaricati sul Terzo settore.
La perdita di laicità, politica e culturale, avviene se si accetta il principio di sussidiarietà, che è alla base della dottrina sociale cattolica, e su cui convergono il neoliberismo compassionevole e il federalismo divisivo leghista: principio di sussidiarietà, rivendicato dalla destra di Meloni e dalla sinistra di Speranza, dal ciellino Lupi e dalla Pontificia Accademia, che ci guida alle privatizzazioni con i sussidi dello Stato, all’erosione del welfare universalistico, promuovendone la sostituzione con il volontariato non profit e con imprese molto profit.
Vi contribuisce, più o meno consapevolmente, anche una sinistra postmodernista e movimentista che si isola in frammenti, monotematiche, lotte simboliche (salvo poi rincorrere il candidato alla moda del momento), che contrappone il “dal basso” (il civismo, la spontaneità) alla politica, a una propria autonoma e organica visione del mondo e del futuro.
La laicità della Cgil regge finché reggono la sua linea e le sue pratiche sull’istruzione (contro la scuola paritaria), sulla sanità (contro la sanità convenzionata), sugli assetti istituzionali (contro l’autonomia differenziata), e via dicendo.
Con tutti i suoi limiti, la Cgil resta la più grande organizzazione capace di unificare le lotte per i diritti civili, politici e sociali. E, diversamente da altri, può permettersi di andare dal Papa con la sua identità, senza chinarsi a baciargli la pantofola.