Si è svolto a Torino, dal 13 al 16 ottobre, il 10° congresso nazionale di Medicina Democratica. E’ stato molto partecipato da tutte le sezioni nazionali di Md e con la presenza di numerosi esperti esterni. Ci sono state molte relazioni e discussioni: chi fosse interessato vada sul sito di Medicina Democratica (medicinademocratica.org), dove può vedere il programma completo e ascoltare le relazioni che eventualmente interessano. In questo articolo non si può fare una sintesi esauriente di quanto è emerso, ma semplicemente spiegare quale sia la determinazione di Md sui temi di maggiore attualità direttamente legati al diritto alla salute.
Si consideri che il primo congresso è stato svolto a Bologna nel 1976. Cosa è cambiato nel frattempo? E’ opportuno entrare nel merito di tre temi: la sanità odierna, la salute e sicurezza sul lavoro, la disabilità e non autosufficienza, per arrivare alla fine a discutere del che fare in una situazione critica e con prospettive di peggioramento.
Mettiamo al centro il diritto alla salute di cui all’articolo 32 della Costituzione, che qualifica tale diritto come “fondamentale”, e al tempo stesso ricordiamo la legge altrettanto fondamentale di Riforma Sanitaria (n. 833 del 1978).
La Costituzione è stata promulgata nel 1948 a seguito delle lotte di Liberazione e già in riferimento alla salute proprio il Comitato di Liberazione Alta Italia era intervenuto proponendo delle linee generali. Ma si dovette arrivare al 1978 con il ministro della sanità Tina Anselmi per avere una legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (Ssn). Gli anni successivi, tranne i primi, non sono stati esaltanti per la sua applicazione. Essa è stata faticosa, quindi carente, addirittura rovesciata. Oggi infatti siamo messi male.
Personalmente mi sono occupato della Riforma da quando è stata approvata la legge e negli anni immediatamente successivi come Md e pure come sindacalista confederale (di zona a Milano). Ricordo un convegno nazionale cui ho partecipato ad Ariccia nel febbraio del 1979 nel quale il sindacato, allora unitario, Cgil Cisl Uil ha mostrato giustamente soddisfazione per la legge e si è impegnato per la sua applicazione sulla base della “grande mobilitazione popolare e di massa”, occorsa allo scopo, come è stato scritto nel documento conclusivo di quel convegno.
Dal primo congresso di Medicina Democratica (1976) ad oggi le cose sono cambiate. Md è stata fondata per opera di un gruppo consistente di scienziati ed esperti, in primis il professor Giulio Maccacaro, direttore dell’Istituto di Biometria e Statistica Medica dell’Università di Milano, e al seguito di una mozione sottoscritta da un centinaio di consigli di fabbrica con in testa quello della Montedison di Castellanza, avendo al centro la partecipazione fattiva, lotta compresa, delle lavoratrici e dei lavoratori non solo delle fabbriche.
Al centro dell’intervento vi era per prima l’indicazione della ricostruzione del processo produttivo scoprendo “i buchi”, ovvero la non applicazione delle leggi, che potevano dare luogo a infortuni, malattie professionali e inquinamento ambientale. Si trattava di togliere le situazioni dannose a partire dalle sostanze tossiche e cancerogene, cercare di metterle al bando come poi è successo per l’amianto. Ricordo che i corsi sindacali sull’ambiente di lavoro partivano della spiegazione del Dpr 303 del 1956. Si dovevano per primo informare i lavoratori dei rischi cui erano sottoposti; dovevano essere, allo scopo, “resi edotti”… Ma quando mai?
In questi ultimi mesi i quotidiani e i mezzi di informazione denunciano gli eccessi di infortuni mortali (ma tutti gli infortuni sono in eccesso), limitandosi a chiedere più controlli e più ispettori del lavoro. Certamente è giusto, ma non sufficiente se non si mette mano ai processi produttivi e non si definiscono le cause e l’origine del male, ovvero i profitti del “padrone”, comunque si chiami. E ci chiediamo, di fronte a questi fatti delittuosi che denotano la non applicazione delle leggi, se non sarebbe opportuno chiedere per le morti sul lavoro la pena corrispondente all’omicidio con dolo eventuale, così come è successo nel processo per i sette morti della Thyssen Krupp di Torino.
Il secondo grande tema di cui si è occupato il congresso è stato quello della sanità. In particolare dei servizi territoriali sia di prevenzione che sanitari, istituiti dalla legge di Riforma del 1978. Ci siamo chiesti: ma dove sta andando la sanità pubblica per cui hanno lottato migliaia di persone dalla Resistenza fino agli anni ‘70?
Una risposta ce la siamo data: perché tanti lavoratori e cittadini oggi non riescono più ad avere risposte dai servizi che sono stati istituiti? Perché tanti di questi sono mal ridotti? Mancano gli operatori, i finanziamenti sono stati tagliati, occorre aspettare tempi, insomma un mezzo disastro! Ci hanno fatto accorgere che la sanità può essere un grosso affare e quindi occorre incrementarla, privatizzarla per poi farla pagare. Da qui sono nate strutture sanitarie piccole, ed anche grandi complessi privati che offrono servizi sanitari di tutti i tipi e su questi prosperano. E sono le carenze del Ssn che costringono molti cittadini a ricorrere ad essi, contribuendo nei fatti alla destrutturazione della sanità pubblica e al tempo stesso al loro impoverimento, pure dovendo pagare le imposte, una parte delle quali sono destinate alla sanità.
Un esempio eclatante – ed è il terzo discorso del Congresso - è quello delle cure per le persone malate croniche non autosufficienti, molte delle quale, causa la loro condizione di grave malattia, non possono più restare al proprio domicilio, ma devono fare ricorso alle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), in genere private, che a fine mese presentano un conto salato che gli interessati, le loro famiglie e, in particolari casi, i loro comuni devono saldare.
Qui occorre essere chiari e chiedere l’applicazione della legge 833, nella quale è chiaramente detto che tutti i malati devono essere curati “qualunque siano le cause, la fenomenologia e la durata della malattia” (articolo 2). In altri termini le Rsa devono essere pubblicizzate, quindi trasformate e inserite nel Servizio sanitario nazionale.
Dal 10° Congresso di Medicina Democratica è uscita una forte opposizione alla privatizzazione del Servizio sanitario nazionale che sta avanzando e, con il nuovo governo Meloni, troverà ancora più spazio. C’è da chiedersi come fare a contrastarla. Non basta fare lettere e documenti che sono importanti, ma che non fermano le scelte delle grandi e meno grandi società sanitarie-economiche di cui è pieno il mercato. Non solo aumentano le strutture private, ma si fanno proposte di sanità integrativa, tramite le stipula di polizze assicurative, anche per il mondo del lavoro.
Il giornale dello Spi riporta i documenti preparatori per il XIX Congresso della Cgil nel quale il documento il cui primo firmatario è Maurizio Landini cerca di fare un ragionamento di ricerca di una sorta di giustizia della sanità integrativa. Però non esce dall’ambiguità e quindi di fatto la conferma; senza ogni dubbio occorre dire con decisione “No” alla sanità integrativa, come si è espressa la sinistra sindacale Cgil. Infine, crediamo che si debba prendere atto che in questi ultimi anni si sono moltiplicate le associazioni e i movimenti per il diritto alla salute: al di là delle differenze che li contraddistinguono, viene certamente affermato che tale diritto deve essere universale, pubblico e garantito. Anche gratuito, nel senso di essere sostenuto dalla fiscalità generale.
Non ci resta che l’organizzazione e la lotta, come ci insegna la storia del movimento operaio. Dobbiamo cercare di coordinarci, di mettere insieme tutti i soggetti: sindacati, associazioni e movimenti, e non farci togliere ma riaffermare il diritto costituzionale alla salute.