Sei sindacalizzato? Allora non lavori. Il caso Co.Cer Frutta - di Frida Nacinovich

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Il libro nero del lavoro in appalto si arricchisce di un nuovo capitolo. Uno sciopero di otto ore al magazzino della cooperativa Cernitrici Frutta (Co.Cer Frutta) di Strada dell’Alpo, a Verona, accende i riflettori sulle patologiche politiche di gestione delle lavoratrici e dei lavoratori. Ufficialmente soci della cooperativa, nei fatti sottoposti a forme di sfruttamento, e in questo caso di vero e proprio ricatto.

Co.Cer Frutta si occupa della cernita della frutta su appalto del gigante Fruttital, una delle più grandi piattaforme di importazione del nord del paese. Un settore che può risentire della stagionalità, ma che nel complesso non conosce la parola crisi. Il problema è che, nei periodi di ‘bassa’, ad essere lasciati a casa sono i lavoratori sindacalizzati. Come se iscriversi alla Flai Cgil facesse diventare automaticamente un piantagrane, un operaio scomodo, un lavoratore da punire.

Cristina Laura Tudosa lavora per Co.Cer Frutta da tre anni, si è rivolta al sindacato dopo aver scoperto che la sua busta paga aveva subito decurtazioni inspiegabili. “Eppure abbiamo un contratto ben preciso, a tempo indeterminato - racconta – e dopo di me altri compagni e compagne di lavoro hanno iniziato a far caso che quello che è previsto sulla carta non viene rispettato. Vogliamo che cambi la politica della cooperativa, per prima cosa sulla gestione dei cali di lavoro, ma anche sulla sicurezza, e in generale sul rispetto del contratto”.

Ad aggravare ulteriormente la situazione, il licenziamento di un giovane immigrato africano. Un padre di famiglia che si era visto ridurre la busta paga da 1.200 a 800 euro, dopo essere stato lasciato a casa con la solita motivazione di un calo di lavoro. “Per lui, un ragazzo bravo, educato e gran lavoratore, che solo di affitto paga 500 euro – rivela Tudosa – il taglio di un terzo del salario rendeva impossibile arrivare a fine mese. Così è andato ugualmente in magazzino, forte di un contratto da 40 ore settimanali. Lo ha fatto perché era disperato, ma in risposta non solo l’hanno messo fuori dicendo che rovinava l’immagine della cooperativa, hanno anche chiamato i carabinieri. I quali, dopo aver visto la situazione, hanno spiegato che non si trattava di un atto di violenza, e che non potevano certo intervenire di fronte a un caso del genere”.

Arrivata nel 2006 in Italia dalla Romania, mamma di tre figli, oggi Cristina Laura Tudosa ha 48 anni, e sa bene quanto siano importanti i diritti e le tutele assicurate da un contratto. “Il nostro non è a chiamata, e per giunta la cooperativa non vuole nemmeno ricorrere alla cassa integrazione per ridurre l’effetto dei tagli dei salari”. Così facendo però, sull’altare di un’assurda prova di forza con i soci lavoratori che via via si sono sindacalizzati, i vertici della cooperativa hanno finito per mettere a rischio la stabilità economica, ed esistenziale, di decine e decine di famiglie, in un momento già di per sé molto difficile come quello che stiamo vivendo, fra un’inflazione mossa dalle speculazioni finanziarie, e la cosiddetta ‘economia di guerra’.

“Faccio parte della Rappresentanza sindacale aziendale – prosegue Tudosa – ma i dirigenti non vogliono che i lavoratori e le lavoratrici si rivolgano a noi per farci vedere le buste paga. Nei confronti degli iscritti alla Flai c’è anche un’altra prevaricazione, da quando abbiamo chiesto il rispetto dei diritti continuano a spostarci da un magazzino all’altro, come se fossimo diventati di colpo indesiderati. Solo perché chiediamo un trattamento equo”.

Su tutta la vicenda la Flai Cgil veronese ha già avviato un procedimento per condotta antisindacale. Al tempo stesso, Samba Sarr e Mariapia Mazzasette, segretaria generale scaligera della categoria, interpellati dai media locali, hanno spiegato che “la gestione dei picchi e dei cali di lavoro va concordata con il sindacato, ricorrendo se necessario anche alla cassa integrazione, per assicurare sia la continuità produttiva che la sicurezza sociale di tante famiglie”.

Tudosa non è una donna che si fa intimidire: “Anche se restassi sola andrei avanti nella lotta. È capitato che qualcuno si sia fatto male, cadendo da una scala, scivolando su una pedana messa male, c’erano resistenze anche a chiamare l’ambulanza. Qui per passare il Natale e il Capodanno a casa bisogna poi lavorare alla domenica per recuperare la giornata. Senza naturalmente avere qualche soldo in più, quelli che ci spetterebbero da contratto. La tredicesima mensilità è prevista eppure ci viene versata solo a metà. In questo modo il clima diventa insostenibile”.

Sono un centinaio gli addetti della cooperativa, alcuni lavorano lì da più di dieci anni, ed è un lavoro faticoso quello di smistare frutta e verdura dalle sette del mattino alle cinque e trenta del pomeriggio. “Anche mio marito lavora in questo settore, eppure da lui i dirigenti non si comportano così”. Lavorare meglio, lavorare tutti, questo chiedono alla Co.Cer Frutta. Non chiedono la luna.

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