Tratteggiare la figura di Salvatore Biasco, scomparso il 6 settembre scorso, dando almeno il giusto rilievo al suo spessore, entro i margini di un breve articolo, è impresa assai ardua. Tuttavia è necessario farlo, perché con lui la cultura politica ed economica perde un protagonista di grande valore.
Il carattere schivo e gentile della sua persona lo ha tenuto al riparo dei riflettori fatui della politica filtrata attraverso i mass media. Ma sarebbe errato pensarlo solo come uno studioso severo, anzitutto con se stesso, come pure è stato, e lasciare così in ombra la sua passione civile e politica e la sua totale partecipazione nelle vicende che hanno animato la vita e il dibattito della sinistra per oltre mezzo secolo. Non a caso gli ultimi suoi sforzi sono stati dedicati al tentativo non facile di riannodare i fili contorti o spezzati di una riflessione teorica, economica e politica che alla sinistra è indispensabile per rifondarsi.
Questo lavoro si è snodato in un network (www.ripensarelasinistra.it) che si basa su un presupposto che Biasco sottolineava con forza in uno dei suoi ultimi scritti: “Senza interlocutori le idee non camminano. Sappiamo che un’agenda può avere successo solo se trova soggetti politici che la interpretino e la condividano” ma, aggiungeva, “dopo trent’anni di divorzio tra cultura e politica è difficile farsi illusioni”, anche se “già esiste nel Paese una sinistra plurale, non identificata con alcun partito, che può intervenire da protagonista in questa ridefinizione della politica”.
Una politica che Biasco definiva riformista nel senso forte del termine e della tradizione europea, ove, cioè, il riformismo, come in origine, significava “riformare il capitalismo per renderlo compatibile con la società” e non, come poi si è trasformato, in “riformare la società per renderla compatibile con il capitalismo”. Si può – e si deve – discutere se questo moderno capitalismo, dominato dalla finanza su scala globale, possa mai convivere con una società retta da un sistema democratico – la risposta di chi scrive è no -, ma certamente questa concezione del riformismo è ancora oggi assai più fertile del mortifero accodarsi al neoliberismo di tanta parte della autodefinendosi sinistra.
In questa chiave va letto il suo ultimo libro “Le ragioni per un ritorno alla socialdemocrazia” (Rubbettino, 2022) ove dall’autore i termini socialismo e socialdemocrazia sono usati come sinonimi. Nulla aveva da spartire Biasco con i tragici esiti della storia del Partito socialista italiano. Commentando il film “Hammamet” - nel libro poco sopra citato - Biasco lascia impresso un giudizio inequivocabile sul suo protagonista: “In definitiva, il danno che Craxi ha fatto all’idea di socialismo in Italia è incalcolabile; non lascia nulla e le ceneri sono quasi impossibili da riattivare”.
La sua riflessione teorica parte da Marx, anche se di quest’ultimo Biasco – ed è forse un suo limite – preferisce lasciare da parte la disputa sulla teoria del valore-lavoro. Ma non c’è dubbio che egli abbia dato un contributo di rilievo a una lettura antideterministica dell’intera opera marxiana, mettendo in luce il ruolo della soggettività politica nella storia umana. È importante sottolinearlo, per uno studioso che è stato in primo luogo un economista, e che oltre che Marx considerava tra i suoi maestri Nicholas Kaldor e Hyman Minsky.
Insegnò all’Università di Roma e in quella di Modena, diventata famosa fino ad essere considerata una “scuola”, anche se i suoi protagonisti poi presero strade molto diverse tra loro. Quando divenne parlamentare, eletto nelle liste dell’Ulivo nel 1996, presiedette in quella legislatura la Commissione bilaterale per la riforma fiscale. Continuò a coltivare i suoi studi sui sistemi fiscali anche dopo il ritorno all’università all’inizio degli anni 2000.
La sua forza di studioso può dirsi iniziata con la pubblicazione di un’opera davvero importante sull’inflazione, argomento tradizionalmente ostico per il pensiero della sinistra. È degli inizi del 1979 il suo “L’inflazione nei paesi capitalistici industrializzati. Il ruolo della loro interdipendenza 1968-1979”. Come è evidente già dal titolo, Biasco considera il fenomeno inflazionistico – come in effetti fu – nella sua dimensione internazionale, pur non trascurando le particolarità dei singoli paesi. Un testo complesso anche se pensato per un pubblico non accademico. Uno studio, potremmo dire, ante litteram sulla globalizzazione che sarebbe esplosa lungo il decennio successivo. L’inflazione, scrive Biasco, “è divenuta … la forza condizionante dell’economia mondiale”. Certo non la sola, ma queste lontane parole potrebbero perfettamente adattarsi al mondo che abbiamo davanti.